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Il NUOVO OTELLO della SONY
Venerdì 03 Aprile 2020 15:52

                                                      

Esce per la Sony l’atteso Otello di Verdi con Jonas Kaufmann protagonista, Federica Lombardi nel ruolo di Desdemona, Carlos Alvarez come Jago nelle parti principali.

Sul podio Antonio Pappano con i complessi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Comincerei proprio dalla concertazione attenta e meticolosa di Sir Anthony Pappano che conferma tutte le sue doti precipue: precisione, esattezza nella scelta dei tempi senza stramberie di sorta (dote non da poco soprattutto oggi in cui la sregolatezza domina sovrana tra i direttori d’orchestra),cui dobbiamo aggiungere la nitidezza dell’orchestra in tutte le sue varie sezioni, tanto da “raccontare” la  complessa partitura verdiana come soltanto pochi maestri hanno saputo fare nella storia di questo capolavoro. Pappano, inoltre, è maestro eccelso nel saper SEGUIRE il Canto. Uso le lettere maiuscole perché anche questa dote, che dovrebbe essere scontata, oggi non lo è affatto:in troppe occasioni abbiamo dovuto subire concertazioni di carattere eminentemente sinfonico, a tutto discapito della compagnia di Canto. L’esecuzione nel suo complesso è quindi eccellente, il meglio oggi possibile. Quello che a tratti manca, soprattutto nei momenti eclatanti del primo e del secondo atto è la grandiosità maestosa che sapeva imprimere un Karajan: per esempio la Tempesta non è così esaltante (sembra addirittura mancare , o non è messo in rilievo, il cluster  do-do diesis- re voluto da Verdi a sottolineare la cupa tragicità di questo momento) oltre all’effetto dato dalla macchina del vento (richiesta) e dai tuoni. Il suono che Pappano sa imprimere ai magnifici complessi di Santa Cecilia è molto levigato, intendiamoci, elegante , ma a tratti manca  il senso del dramma , il terrore, che altri maestri sapevano porre in rilievo, tra questi citerei oltre al sunnominato, inarrivabile Karajan, anche Furtwaengler, Beecham, Sir John Barbirolli, lo stesso Kleiber (quello a cui Pappano più si avvicina, a mio parere). L’Otello di Pappano è ascrivibile al novero degli Otelli in cui prevale il lirismo, nel senso più elevato del termine e in questo contesto stanno benissimo le voci selezionate per il cast, con dei necessari distinguo.

Kaufmann , come suo solito, vince alla lunga distanza dopo un “Esultate” che non può competere con i cannoni di Del Monaco o le sciabolate del mitico Francesco Merli. Dove Kaufmann si mangia tutti è nella innata sottomissione al segno scritto (caratteristica che fu già del suo conterraneo Fischer Dieskau) inteso come una guida assoluta e imprescindibile: se Verdi scrive pianissimo ,Kaufmann esegue a regola il pianissimo; se Verdi indica una forcella che segna un crescendo o un diminuendo, Kaufmann esegue senza meno e senza mai indulgere alla cosiddetta “tradizione” . Lega a meraviglia intere frasi “Se dopo l’ira immensa vien quest’immenso amor” come nessuno ha saputo fare prima, seguendo la strada che Vickers seguì prima di lui sia con Serafin che con Karajan. Certo, la natura “lirica” di Kaufmann esce fuori in tutta la sua evidenza nei momenti in cui si potrebbe auspicare una maggior drammaticità nella voce , per esempio nel grande duetto con Jago che chiude il secondo atto.Ma chi ha stabilito che Otello, nero di pelle, sia anche nero di voce? E’ un luogo comune. Lauri Volpi fu Otello alla Scala con voce alta e saettante, non certo di colore baritonale; Pertile idem; Merli lo stesso e così Martinelli, i primi Otelli storici che mi vengono in mente. Poi arrivò Toscanini con Vinay, tenore scuro (destinato a chiudere la carriera come baritono e persino basso!) , arrivò il grande Del Monaco (l’Otello per antonomasia) il quale intelligentemente poté cantare 500 volte Otello proprio mantenendo ALTA la posizione della sua voce, come si evince dall’ascolto delle sue innumerevoli registrazioni. Kaufmann  ha un altro pregio oltre la musicalità e il senso stilistico: sa “girare” benissimo i suoni di passaggio verso gli acuti.I suoi si bemolli e si naturali sono facili e molto ben proiettati, così anche il do della “vil cortigiana” : natura certo ma anche molto studio. Il duetto finale del primo atto, “Già nella notte densa” , è un piccolo capolavoro in sé per la quantità di colori e le giuste intenzioni interpretative, con l’apporto di una delicatissima Desdemona e la magnificenza dell’orchestra di Santa Cecilia (assolo di violoncello grandioso!).Lo stesso dicasi per “Ora e per sempre addio” , per il secondo duetto, quello del III atto, per il monologo “Dio mi potevi” , davvero perfetto,  e per la commoventissima scena della Morte.

Federica Lombardi è Desdemona battuta dopo battuta.Inizia un pò timida, qualche acuto è leggermente “impaurito” ,ma via via prende quota e giunge a una ottima esecuzione del grande duetto del III atto. La sua voce è di bellissimo colore, un lirico pieno del genere della prima Tebaldi , dizione perfetta (salvo qualche piccolo vezzo tipo “il mio sorrUso” invece del “sorriso” prescritto), accenti sempre giusti , una bella partecipazione emotiva (vedi Concertato finale del III atto). Manca ovviamente ancora la Santa Esperienza, cioè il possedere quelle scaltrezze che solo la pratica teatrale sa suggerire , anche a livello tecnico: perché la base, cioè l’appoggio ferreo di tutta la gamma vocale, è studio ma è soprattutto esperienza sul campo. Ogni tanto gioca un pò sulle vocali , che per eccesso di “impostazione” diventano improvvisamente e inutilmente oscure.Con il tempo la voce sarà certamente più libera, le doti ci sono tutte per una grande carriera.

Veniamo all’elemento per me più deludente e cioè il baritono Carlos Alvarez, che pur avrebbe di natura una voce molto timbrata e di bella grana. Credo che l’errore di fondo sia nell’approccio al personaggio , forse per scelta dell’interprete, forse per scelta del direttore e suppongo, comunque, di entrambi. Alvarez opta per lo Jago morchioso , cupo e sinistro di molti baritoni del passato, quindi uno Jago sostanzialmente monocorde, avaro di pianissimi, tonitruante , cioè l’esatto contrario di ciò che Verdi richiese a mani giunte. Famosa la lettera in cui l’Autore chiese uno Jago interamente cantato a mezzavoce, come un prete , falso, insinuante, sottile, cinico, perfido e diciamo pure “bastardo dentro”.Ma non fuori. Se la cattiveria viene esposta platealmente non ha più effetto, la vera cattiveria è subdola .Lo sapevano bene Lawrence Tibbett, Mariano Stabile,Tito Gobbi, Fischer Dieskau, il grande Taddei ( lui poi aveva tutto, perché al meraviglioso colore univa la sottigliezza e la facilità nelle nuances) , Cappuccilli guidato da Kleiber e…qui mi fermo poiché dopo questi mostri sacri il personaggio di Jago ha subìto una notevole battuta di arresto. Alvarez fraseggia in modo classico e supera ogni scoglio vocale con il Canto puro, diciamo con la “Scuola”. Ma dove sono i colori del Sogno (“Era la notte”) ? Tutto cantato forte o al massimo mezzoforte. Dove sono i pianissimi cinici di “Vigilate” , la vera frase del prete? Nulla, li canta forte. E’ uno Jago a senso unico e a questi livelli non può bastare.

Citerò molto velocemente le seconde parti , che sono tutte molto corrette e ad alto livello: in primis Riccardo Fassi come Ludovico, Fabrizio Beggi Montano e Carlo Bosi perfetto Roderigo. Voci importanti che rendono prezioso ogni loro intervento. Meno convincente il Cassio di Liparit Avetysian, troppo leggero a mio parere, e ottima l’Emilia di Virginie Verrez anche se pure lei negli acuti cambia la dizione “un gran delOtto” invece che “delitto”, quelli che definisco “eccessi di impostazione”.

 
ADDIO FRANCO ZEFFIRELLI, MAESTRO del BELLO
Sabato 15 Giugno 2019 14:02

                       Zeffirelli1

Scompare con Franco Zeffirelli un Grande Maestro, leggerete così un pò ovunque. In effetti

il termine “Maestro” è tra i più inflazionati e abusati, nell’ambiente musicale soprattutto. Tutti

Maestri, tutti Grandi Maestri ma pochi….VERI. Antonio Guarnieri, un fantastico direttore

d’orchestra che osò zittire Mussolini e fu capace di protestare suo padre stesso, giudicato

incapace di suonare nell’orchestra di Bologna ,restò famoso per un aneddoto che ancora

circola tra gli appassionati d’Opera. “Mi, ciamame Mona” soleva rispondere a chi ogni

cinque secondi lo chiamava “Maestro”, magari salutando un assistente o un collaboratore di

sala.


Zeffirelli è stato un Maestro .Un Maestro  cultore e difensore ultimo della Bellezza.


“La Bellezza- diceva Oscar Wilde- è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché

non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la

primavera, il riflesso nell’acqua scura di quella conchiglia d’argento che chiamiamo luna”. 

Non occorre essere dei grandi esperti per verificare il culto della Bellezza espresso nei

colori, nelle luci, nei disegni ,nella fotografia, nei costumi, nell’impianto generale di un’Opera

o anche di un film di Franco Zeffirelli: anche un bambino (e forse soprattutto quello) capirà

che ci troviamo di fronte a un regista\scenografo con la cura ossessiva del dettaglio,

provvisto di quel senso del grandioso e del Bello che solo chi ha gusto può avere.


Qui entriamo in un terreno spinoso, ma noi amiamo sfidare e sfrondare i rovi di certe

ideologìe opposte, quelle per cui “non è Bello ciò che è Bello, ma è bello ciò che piace”.

Quale solenne stupidaggine! Quale gloriosa bufala! Dobbiamo cominciare a sbarazzarci

dell’etica e a ricollocare l’estetica al primo posto, la Bellezza non può essere interrogata ma

regna per diritto divino (ed è ancora Wilde a portarci sulla retta via). Siamo stati afflitti e

ammorbati dalla pervicace cultura dell’Orrido intesa come tragica conseguenza della

miseria del mondo, dell’imperfezione che dilaga .Oltre un certo grado la Bellezza, come

l’eleganza, non è più una semplice sfida al Brutto, ma una provocazione, anzi un oltraggio:

ciò spiega l’odio che non poca gente nutre verso di essa.


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Zeffirelli ebbe in dono il gusto e fu meravigliosamente eccessivo, in tutto ciò che concepì

per cinema e teatro. I suoi spettacoli ebbero il sigillo del Grandioso e fu un vero

appassionato, perché ogni passione è  come la Natura: è tale solo perché eccede.Fu così

che nel 1949 presso il Giardino di Boboli a Firenze (luogo caro ai fasti medicei) si poté

assistere all’incredibile messa in scena di “Troilo e Cressida”  di Shakespeare, con la regìa

di Visconti e la messa in scena favolosa di Zeffirelli, che riuscì a ricreare l’intera città di Troia

sull’immenso palcoscenico. Ventotto cavalli in scena e un costo di oltre un milione e mezzo

di euro (nemmeno tanto considerando certi orrendi allestimenti attuali più o meno allineati

su queste cifre). Tra gli attori il meglio del meglio: Carlo Ninchi, Paolo Stoppa,Giorgio De

Lullo,Vittorio Gassman,Marcello Mastroianni,Franco Interlenghi,Rina Morelli,Giorgio

Albertazzi.Questo mega evento scatenò critiche a non finire, si parlò di sprechi indecenti, di

cifre immorali. Fu probabilmente l’inizio di quel partito preso contro lo Zeffirelli esagerato e

pleonastico, che infastidiva per il fasto e per il “troppo”.

Gli venne appiccicato addosso un pesante fardello e le idee politiche manifestamente

reazionarie, per nulla allineate alle convenzioni tipicamente teatrali “di Sinistra” e ,anzi,

fortemente contrarie , lo bollarono ponendogli tutta la stampa contro .

Si assistette al paradosso classico: pubblico , soprattutto estero, a favore…critica avversa.

Zeffirelli sfornò una produzione incredibile, tra film e spettacoli d’Opera e di prosa: “Romeo

e Giulietta”, “La bisbetica domata”, “La lupa”,”Amleto” , “Gesù di Nazareth” , un numero

impressionante di Opere eseguite con i massimi interpreti, da Otello con Domingo e la Freni

alla Scala, all’Alcina di Haendel con la Sutherland, Aida con la Caballlé diretta da

Schippers, la leggendaria Bohème (tra gli spettacoli più replicati di sempre), il Falstaff, il

Don Giovanni, arrivando dal 1995 ai memorabili approdi areniani a Verona: “Carmen”,

“Trovatore”,“Turandot”, “Aida” ,”Butterfly” ,”Don Giovanni”, uno più bello dell’altro.


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Permettetemi una serie di ricordi personali. Fu mia madre  a farmi conoscere Zeffirelli,

quando lo intervistò per la Traviata del celebre film, con Teresa Stratas e Placido Domingo.

Io andavo ancora a scuola ma quel giorno mi fu concesso di saltare le lezioni per riceverne

una che fu la più importante e che cambiò la mia vita. Entrammo nella grande villa

sull’Appia antica, il Maestro ci ricevette in un ampio salone tipo patio, un padiglione con

ampie vetrate che pareva la scena di un Suo film. Il secondo atto di Traviata, in tutto  e per

tutto: vasi , ceramiche, quadri, cornici e stucchi dorati,tappetti, divani che sembravano

grandi nuvole , mobili di grande pregio e tanti cani, di cui Zeffirelli amava circondarsi senza

mai separarsene. Il primo episodio che raccontò era accaduto la giornata precedente, sul

set di Traviata . Durante le riprese aveva scorto la sagoma di uomo, dietro a una

specchiera, una figura non prevista dal copione. “Ma chi caXXo è quello !!!” (Zeffirelli era

piuttosto sboccato quando si alterava) . Avvicinandosi si accorse che era Federico Fellini,

nascosto dietro a quella quinta. “Scusami Franchino” , bisbigliò timidamente, “ mi ero

nascosto qui per vedere i bambini che giocano”. Si riferiva alla Festa in casa di Flora. Era

un piacere ascoltare Zeffirelli. La parlantina veloce e irrefrenabile, tutto un susseguirsi di

episodi legati a personaggi che avevano fatto la storia del Teatro e dello Spettacolo:

Magnani, Visconti, Callas, Lawrence Olivier, Welles, e poi ancora Karajan, Kleiber, Giulini,

Abbado, Domingo, Freni. Rimasi incantato e alla fine, con estrema gentilezza, mi invitò ad

assistere alle prove di Traviata a Cinecittà, perché avevo detto di essere molto

appassionato d’Opera. Nel giardino, come un fantasma, fluttuava una figura vestita di

bianco: era la Stratas, ospite nella villa di Zeffirelli. “E’ completamente pazza ma è Violetta

Valery, come io la immagino” -disse il Maestro commentando questa apparizione- “ogni

tanto si ritira in camera a dire le sue orazioni, poi va in scena e si trasforma”. Anni più tardi

la Stratas, abbandonate le scene, si fece suora.


Nel 1995 a Verona fu Maurizio Pugnaletto, fantastico capo ufficio stampa dell’Arena e amico

carissimo, a farmi il più bello dei regali. “Ti ho messo nel posto accanto al Maestro, che

seguirà la  Carmen dal palco centrale in fondo alla platea dell’Arena.” Stavo per svenire. Mi

presentai nuovamente, nonostante lo avessi ormai incontrato tante volte nei teatri e anche

intervistato per la Barcaccia. “Il fedelissimo!” , esclamò vedendomi e mettendomi subito a

mio agio. Fu una di quelle esperienze che ti cambiano la vita. Seduto accanto a Zeffirelli per

tutta la durata della Carmen, parlando e ascoltando soprattutto. Uno spettacolo di bellezza

straordinaria: nella prima versione (quella che oggi non esiste più perché spazzata via da

un nubifragio) ,su tutti gli spalti dell’Arena era stata ricreata Siviglia, ma con una ricchezza

di dettagli che forse riconduceva al mitico spettacolo del Giardino di Boboli. Qualcosa di non

credibile: l’Opera come ognuno di noi che la amiamo vorrebbe vederla. Grande, BELLA,

viva, palpitante di situazioni diverse e perfettamente in linea con la musica di Bizet. Zeffirelli

fece una radiocronaca del suo spettacolo, minuziosa e delicata come parlasse di un figlio.

Mi avvisava prima di ciò che stava per accadere e si soffermava soprattutto sulle

controscene, assolutamente cinematografiche. Non bastò una volta per capire e vedere

tutto, tante erano le situazioni, i personaggi, le gag di questa Siviglia brulicante di comparse

e figuranti, oltre al grande Coro e ai solisti di Canto. Parlammo di tutto ma soprattutto di luci

e costumi. Gli dissi che avevo lavorato con Luigi Comencini per Don Carlos e Bohème

(quella pubblicata in video dalla Erato Film con Carreras e la Hendryks) . “Ma che caXXo ne

sa Comencini d’Opera?” , disse Zeffirelli cattivissimo. “Guarda” , continuò, “ se un giorno

vorrai fare regìa d’Opera, ricordati che le luci sono importantissime, non vanno trascurate.

Qui a Verona abbiamo lavorato non so quante ore per ogni memoria. Quello è il segreto. E

in particolare usa l’oro con il rosa, è un abbinamento meraviglioso.” Non mi sono mi

dimenticato quella lezione, sono parole che mi risuonano nel cervello ogni volta mi accingo

a comporre i quadri delle luci, un momento che attendo con particolare fervore e

concentrazione. Dissero di Zeffirelli che esagerò e che affastellò il palcoscenico di orpelli

inutili, un pò ricreando gli ambienti della sua splendida magione romana. Ci vuole molto stile

nel saper esagerare e una vera Opera d’Arte cos’è se non la forma più alta di

esagerazione? Grazie  Franco Zeffirelli, Maestro del Bello e dell’Eccesso.

 

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PIRATA ALLA SCALA DOPO 60 ANNI
Sabato 30 Giugno 2018 09:07

                 pirata1  

Mancava da sessant’anni alla Scala e l’ultima produzione è stata quella che allineava tre

divinità del Canto: Callas,Corelli, Bastianini diretti da Antonino Votto, un fantastico

concertatore troppo poco ricordato. Dopo così tanti anni tanta acqua e passata sotto i ponti

e molte cose sono cambiate:oggi è l’Era dei registi, i cantanti in molte locandine addirittura

non compaiono più ,il pubblico è disorientato. Eppure il Pirata ,come tutte le altre opere , si

canta ECCOME.  Una delle più colossali bufale messe in giro da sparuti plotoncini di

nostalgici è che oggi non vi sarebbero più le voci. Balle. Proprio per il Belcanto voci non ne

mancano, anzi abbondano.Quel che manca ,piuttosto, è un altro tipo di figura, quella del

concertatore attento ed esperto. Un bravo maestro concertatore deve risolvere almeno due

grandi problemi: aiutare i cantanti a dare il meglio ,possibilmente non travolgerli con la sua

compagine orchestrale, e trovare la giusta TINTA orchestrale, il colore adatto per ogni

opera. Ciò che non è avvenuto ,o solo in parte, con il maestro Frizza alla Scala: egli ha

diretto il Pirata di Bellini, opera drammatica quanto mai,  come fosse il Don Pasquale

.L’orchestra ha suonato benissimo (salvo qualche scrocco delle trombe) ,il Coro è stato

come sempre molto preciso, e i cantanti pure….ma non era il Pirata. Era un’opera comica,

staccata in maniera brillante e giocosa, in cui il divario tra il testo che veniva cantato e

l’accompagnamento sottostante a tratti (vedi terzetto, scene d’assieme,Cori) suonava

addirittura parodistico. Non può essere, una simile concertazione vanifica tutto: la riapertura

(a questo punto inutile) dei tagli, la regìa, l’impegno vocale di tutti. Molti buuh alla Sua

uscita.

 

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A me è piaciuto molto il baritono Nicola Alaimo (che più persone mi dicono essere stato il

peggiore in teatro, con voce che risultava opaca e travolta dall’orchestra). Mah. Giudico per

quello che ho ascoltato io: un baritono autorevole nell’accento, preciso nelle agilità

,svettante fino addirittura al la acuto (piazzato al termine del duetto con Imogene nel II atto).

La parte non è di quelle memorabili nel repertorio baritonale, però Alaimo ne è uscito da

grande artista e mi sono sembrati molto ingiusti i “buuu” violenti ricevuti alla sua uscita.

 

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Sonya Yoncheva, lanciatissima, è una cantante di bellissimo colore timbrico e sa dare peso

al testo, con accenti appropriati e un giusto piglio temperamentoso. Fa tutto quel che deve

fare ma ha ,per me, un grave difetto: è affetta da “callasite acuta” , una particolare forma

virale che colpisce i soprani in ancor giovane età, costringendo la gola a suoni torvi e

intubati, in alto sul pianissimo persino oscillanti, nel maldestro tentativo di rievocare antiche

e mai dimenticate divinità. Non è la strada giusta:della Callas bisognerebbe imitare il MODO

in cui penetrava ogni angolo del testo poetico, la serietà analitica dell’approccio allo spartito,

come legava, come usava la mezza voce senza spoggiare i suoni ma sempre a fini

ESPRESSIVI. I vezzi e i difetti, che anche la Callas aveva, andrebbero dimenticati. Ciò

detto, la Yoncheva ha raccolto i giusti plausi per la sua interpretazione.

 

Al tenore Piero Pretti concedo la prova d’appello poiché non mi ha entusiasmato. La parte,

scritta per una voce particolarissima (quella di Rubini, un tipo che sapeva fraseggiare sui fa

sopracuti e che in Sonnambula giunse a cantare un sol addirittura) è tra le più  ardue del

repertorio belliniano e mette a dura prova un tenore certamente sfogato in acuto, come

Pretti, ma non incline al sopracuto come altri colleghi , tipo Spyres,per esempio, o Osborn.

Piero Pretti si è presentato a questo appuntamento, credo, lecitamente impaurito e sul filone

prudenziale del “farò quel che potrò” ,una scelta giusta se non vuoi finire tritato come una

polpetta da pagine terrificanti come  l’aria d’entrata o l’altra del II atto, eseguite inoltre nella

loro integralità.

 

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Non mi sono piaciuti gli interventi delle seconde parti e ascoltando alcuni passaggi ho

pensato a quella sacrosanta verità  che Pippo Di Stefano citava sempre: “ Ho sempre

detestato le voci impostate”.  La voce va lasciata libera, staccata dalla gola, anche se devi

cantare una sola frase in tutta l’opera. Salverei il tenore Pittari, che mi è parso puntuale e

spigliato nei suoi interventi.

 

Speriamo che il Pirata non torni tra altri 60 anni, contiene pagine bellissime e -volendo- può

essere una vera festa del Belcanto.

 


 
ALLA SCALA l'AIDA PIU' BELLA
Lunedì 21 Maggio 2018 17:38

                          aida_de_nobili

 

“Non si vede una cosa finché non se ne vede la bellezza.” Una frase che scrisse Oscar Wilde e che si addice perfettamente alla più bella di tutte le Aide, quella disegnata da Lila De Nobili e realizzata per la prima volta alla Scala da Franco Zeffirelli nel lontano 1963 e adesso ripresa per festeggiare i 95 anni del grande regista. E’ l’occasione per ammirare la stupefacente bellezza dei dipinti creati da questa straordinaria pittrice e scenografa, nata nel 1916 e scomparsa nel 2002, già creatrice della celeberrima Traviata scaligera del  1955 (quella con la regìa di Visconti e con la Callas protagonista) e di altri indimenticabili spettacoli. Le tele dipinte, viste ormai come dinosauri ricomposti in un museo, ma che invece possono tornare in vita in virtù della loro intrinseca magia, del gioco delle prospettive, dei dettagli che grazie alle luci diffuse (e mai dirette) escono fuori prendendo corpo e forma. L’Aida si trasforma così in una antica cartolina celebrativa ispirata all’Antico Egitto ma senza uso e abuso di piramidi, obelischi e ammennicoli vari:l’Egitto della De Nobili e Zeffirelli è immaginifico, ambrato, suggestivo perché dipinto con gusto e con soluzioni geniali, come quella dell’atto del Trionfo con la scena obliqua che è geniale e resta INSUPERATO. Il terzo atto imbattibile resta quello della mini Aida di Busseto, un miracolo autentico ma che deriva direttamente da quello della De Nobili, con la luna che si staglia in cielo sopra al tempio e illumina l’arrivo della barca sacra di Amneris e Ramfis. Bellissimo anche il finale dove si passa dalla maledizione di Amneris , a vista, direttamente all’interno della tomba in cui vengono sepolti vivi Radames e Aida.

                              aida_oren

Un contesto ideale per ospitare il debutto di Daniel Oren sul podio scaligero, dopo anni e anni di continui inviti mai andati buon fine. Oren è il rappresentante oggi di quella nobile categoria di “maestri di tradizione” ,un tempo capitanata da Serafin, Votto, Ghione, Questa, via via fino a Patané , Guadagno, Santi,senza dimenticare Gardelli e Rudel,o il grande De Fabritiis.Il che vuol dire attenzione e AMORE per il Canto, saper seguire e respirare con chi è sul palco, ma allo stesso tempo tenendo ben salde le redini della compagine orchestrale, con preziosismi nei punti-chiave, che tali maestri conoscono assai meglio dei “divi” . Daniel Oren giunge alla Scala dopo un percorso lungo e straordinario, in cui ha diretto molti titoli e con i più grandi cantanti degli ultimi decenni.Per lui la Scala è un punto di arrivo non di partenza, questo è molto significativo .La concertazione è attentissima, meticolosa  e sottolinea ogni aspetto della complessa partitura:c’è l’incantevole lirismo, la magia del Nilo all’inizio del III atto, c’è il furore nelle esplosioni di Amonasro e nella scena del Giudizio, c’è la bellezza dei pianissimi del Coro nella scena della Consacrazione della spada, uno dei momenti più straordinari della serata. Io mi auguro che Oren abbia parecchie occasioni di tornare alla Scala e chiederò espressamente al Sovrintendente Pereira che lo scritturi per alcuni infallibili titoli del suo repertorio, da Verdi a Puccini.

              aida_de_nobili3


In stato di grazia i solisti, da Jorge de Léon,squillante Radames (un pò avaro di colori ma scapicollatosi a sostituire Sartori, last minute) alla Stoyanova, bravissima nei passaggi lirici e prodiga di meravigliose mezzevoci.Violeta Urmana con molta intelligenza non carica le note gravi e punta alla gloria del suo registro acuto, che quindi la rende vincitrice nelle sfide dei duetti e dei concertati.Possente e nobile l’Amonasro di Gagnidze e magnifico il duo dei bassi, con Kowalyov e Colombara perfetti nelle loro caratterizzazioni di Ramfis e Re.

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Una sorpresa :il debuttante tenore Della Sciucca come Messaggero. Un paio di frasi ed ecco la voce importante, volare in tutta la cavea e lasciare presagire un futuro radioso.Molto bene anche la Sacerdotessa della Kamani, giovane soprano di ottime doti vocali . Il Balletto non trascendentale ma elegante degli allievi della Scala .Teatro gremito  in ordine , applausi convinti per tutti .

 


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