Paolo Gallarati (Torino, 1949) è stato docente di Storia della musica all'Università di Torino ed è socio dell'Accademia delle Scienze di Torino; collabora come critico musicale con La Stampa e Amadeus. Autore di numerosi saggi sulla storia e l'estetica dell'opera, con il Saggiatore ha pubblicato "Verdi ritrovato"  dedicato a “Rigoletto” “ Traviata”
e “Trovatore” e  più recentemente “Verdi”,  un saggio “vita e opere”.


  • Professor Gallarati, intanto La ringrazio per la Sua disponibilità .
Lei ha espresso su Facebook un importante parere riguardo la questione sollevata a Torre del lago dal maestro Veronesi, che si è presentato bendato sul podio per contestare la regìa iconoclasta della Bohème. Il Suo autorevole intervento sta suscitando un bel dibattito e , aggiungo: finalmente!
Senza entrare nel merito della questione giuridica , che sarà affare dei giudici, Lei cosa ne pensa di questo singolare atto di protesta e più in generale della questione regie tradizionali regie moderne?
  • “ Per quanto mi riguarda,  il rapporto tra regìe tradizionali e regìe innovative è  un finto problema. Ci sono regìe cosiddette  “tradizionali” che funzionano benissimo e regìe cosiddette "innovative" che sembrano più conservatrici delle regìe tradizionali. Negli ultimi anni si sono instaurati degli stereotipi che, negli spettacoli   “attualizzanti” , hanno acquistato la stessa rigidità delle convenzioni che si vorrebbero abbattere. Quindi esistono spettacoli buoni e spettacoli cattivi, spettacoli che mettono in luce le qualità della partitura , i contenuti drammatici ossia la lettera del testo poetico e musicale, e regìe che se ne allontanano completamente, fino a rendere il testo incomprensibile. Bisogna giudicare, quindi, caso per caso e non inquadrare entro categorie fisse il proprio giudizio. Ogni spettacolo è un caso a sé, ogni opera pone problemi diversi e permette soluzioni diverse. Resta importante dare la possibilità al pubblico di capire l’opera, senza impegnarlo nel cercare di decifrare ciò che il regista ha voluto dire, operazione che distrae dalla percezione dei valori musicali e drammatici ”.
  • Cos’è secondo Lei moderno e cos’è antico in una regìa d’Opera? L’aspetto “rituale” dell’Opera va custodito o va stravolto?
“ Secondo me è moderno ciò che valorizza quegli elementi drammatici e musicali che hanno permesso alle opere del passato di attraversare i secoli. I classici – diceva Peter Brook riferendosi a Shakespeare – sono come  pezzi di carbone: li metti nel camino e continuano a riscaldarci, dopo secoli. Mettere in evidenza il dramma, i sentimenti, la realtà fisica e interiore dei personaggi, la poesia  creata dalla musica, accendere, insomma, quel fuoco,  è di per sé un modo di rendere attuale l’Opera. Poi , l’aspetto figurativo, può essere realizzato in modi diversi e il regista può sbizzarrirsi. Ci sono spettacoli che usano costumi storici e che appaiono moderni, e spettacoli che usano abiti contemporanei ma danno l’impressione di ripetere cose stantie, viste già mille volte. Il teatro si basa su equilibri molto delicati: far capire l’opera è una sfida che deve partire  dal significato letterale del testo poetico e musicale. L’aderenza al testo è fondamentale. Altrimenti il pubblico finisce per annoiarsi nel vedere cose di cui non capisce il significato.”
  • Lei non pensa che taluni registi partano da un concetto di carattere “aggressivo”, considerando per esempio che il libretto sia un ostacolo e che vada per principio ignorato?
“ Sì. Io domandai a un grande direttore d’orchestra che si apprestava a dirigere un'opera di Wagner : “Come sarà lo spettacolo?” . Mi rispose : “Non posso ancora dirlo: ma il regista ha un’idea...”  Ma cosa vuol dire avere un’idea? Quante idee ci sono in una partitura wagneriana? Quante ne puoi tirare fuori dalla miriade di quelle implicite o esplicite contenute nel poema e nella musica? Un sacco!  Non c’è bisogno di applicare un’ idea dall’esterno, come una specie di vestito che viene  aggiunto all’opera, mascherando o addirittura offuscando la ricchezza dei suoi contenuti. Certo è più faticoso leggere attentamente, ascoltare, riflettere, piuttosto che farsi venire “un’idea” dall’apparenza originale e provocatoria.  Il vero lavoro del regista consiste nel mostrare l'attualità dei valori musicali e drammatici che hanno permesso a quel capolavoro di interessarci ancora a distanza di secoli. Qui sta la sua bravura e anche la chiave del suo successo.
  • Si assiste poi a un singolare fenomeno: le regie cosiddette moderne, decontestualizzate, vengono sostenute dalla critica musicale.Taluni critici ne sono fieri sostenitori  mentre la maggioranza del pubblico sembra detestare cordialmente questo filone e vorrebbe tornare alle voci e alla esecuzione musicale?  Vi sono addirittura locandine che escludono i nomi degli interpreti ponendo a caratteri cubitali il nome del regista. Perchè?
“E’ una questione legata al gusto personale. Forse certi critici dimenticano che il Teatro deve essere comprensione immediata di ciò che succede. Essendo loro molto esperti e conoscendo le opere a menadito,   trovano divertente o stimolante  vedere le opere trattate in maniera totalmente estranea rispetto al significato letterale del testo e della musica. Il teatro, così, finisce per diventare  un fenomeno aristocratico, che si rivolge  a un pubblico esperto , trasformando l’interpretazione in una serie di allusioni, più o meno sofisticate, rivolte ad  addetti ai lavori. In tal modo,  una fetta molto importante di pubblico viene tagliata fuori dalla comprensione dell’opera che si vorrebbe invece divulgare e presentare ad un pubblico vasto, nuovo, giovanile. Se  giovani vanno vedere uno spettacolo completamente staccato dall’opera possono farsi l’idea  che l’Opera sia qualcosa di superficiale , un canovaccio privo di vita  con cui è possibile trastullarsi e rivestire con le  più diverse fantasie."

-Alcuni importanti avvocati da me interpellati hanno addirittura ventilato l’ipotesi , in certi casi estremi, di vilipendio d’opera d’Arte, un reato penale. La Cassazione considera opera d’Arte : ” l’ opera, in cui sussiste un perfetto equilibrio tra mezzo espressivo e emozione interiore, atto a realizzare un valore di universale intuizione e a suscitare rasserenanti reazioni estetiche” (aprile 1976). Questo equilibrio viene spesso infranto e l’opera oltraggiata abbondantemente, come abbiamo visto.Lei cosa ne pensa?
“ Io non sono un giurista e quindi non posso entrare nel merito di questo problema . Bisogna vedere in che termini si pone il rapporto tra la regìa deformante e l’Opera, so che ci sono state delle proteste in questo senso da parte di alcuni eredi di compositori che hanno ravvisato gli estremi di un reato nella messinscena delle opere dei loro progenitori, e so che ci sono studiosi che stanno affrontando il problema, ma, ripeto, non posso entrare nel merito.”
  • Per esempio, cambiare un finale d’opera. E’ successo in varie occasioni: nella regìa di Traviata, a firma Calixto Bieito, Violetta non muore e fugge via con Annina, determinando così un’inedita coppia di fatto, non prevista da Verdi e Piave, il suo librettista.
“In questo caso il testo è completamente stravolto. Il che sarebbe anche legittimo:  io, regista, ho una mia idea –  sì, in questo caso, un' idea “ forte”–  e faccio uno spettacolo “ a partire da” come “ libera interpretazione" di questa o quell’opera, rifatta, manipolata, tagliata, rimaneggiata in modo da dimostrare una tesi da presentarsi , però,  con un nuovo titolo. Il pubblico, allora,  quando va a Teatro sa che non vede l’opera ma una sua rielaborazione. Sarebbe  più onesto. Se  invece lo spettacolo propone il titolo originale con un diverso finale, che cambia totalmente il senso dell'opera, l'operazione non ha  il minimo senso  estetico: mentre sul piano giuridico potrebbe porsi forse come un vilipendio, un tradimento dell’opera d’Arte.”
  • Come avvenne anche a Firenze con la Carmen, in cui la protagonista ammazza Don José con un colpo di rivoltella (rivoltella che poi si inceppò alla Prima, come pena del contrappasso, determinando l’ilarità nel pubblico).
Le volevo chiedere, professor Gallarati: riproporre oggi un’opera secondo gli stilemi tradizionali, ovviamente utilizzando le moderne tecnologie, è da considerarsi un atto rivoluzionario?
“ Uno spettacolo può essere fedele e allo stesso tempo inventato. Abbiamo visto casi di grandi registi che sono riusciti a innovare e proporre spettacoli modernissimi, restando fedeli al testo e aprendo nuove prospettive interpretative. Certo, bisogna essere molto bravi nell’esaltare i valori interni della partitura, penetrare nella struttura profonda dell’opera d’Arte e al contempo dare a questa realizzazione scenica un aspetto moderno. Ma la cosa è obbligatoria. Il teatro invecchia, uno spettacolo dopo 5/7 anni è superato: cambiano le mode, le fogge dei costumi, il gusto estetico. Quindi l’innovazione è necessaria, altrimenti il teatro si fossilizza in una rigidezza inaccettabile. Ma consideriamo che il regista ha molte possibilità di scelta, e che in teatro si può fare tutto, basta farlo bene. I costumi storici possono risultare ridicoli come modernissimi e stupendamente eleganti . Ricordo di aver letto che Strehler provò decine di parrucche,  prima di trovare quella giusta da mettere in testa ad  Andrea Jonasson, protagonista di  “Minna von Barnhelm” di Lessing al Piccolo di Milano. Voleva che fosse una parrucca settecentesca, fedele all’epoca del dramma,  ma nello stesso tempo  consona al gusto attuale. Così, la corazza di un guerriero romano o il  costume di un faraone egiziano in “Aida" può essere ridicolo, oppure  modernissimo, geniale, rappresentativo. Come sanno i veri uomini di teatro, il costume deve cogliere ed esprimere   il carattere e la funzione  del personaggio.”
-Le pongo un’altra domanda riferita al senso dell’”antico” e del “moderno” che abbiamo sondato nel nostro colloquio. Considerando che la prima regìa di Bob Wilson , considerato campione della contemporaneità, risale al 1969 (quando era ancora in auge Luchino Visconti), non pensa che le cosiddette regìe moderne siano paradossalmente più antiche e polverose di una ripresa in chiave moderna di un’opera tradizionale?  Il Regietheater , in fondo, è diventato vecchio.

“Se per Regietheater si intende , per esempio, la regìa che è stata fatta l’anno scorso a Bayreuth del “ Ring" di Wagner (regìa firmata da Valentin Schwarz) , con le Valchirie che erano pazienti di un istituto di chirurgia estetica, in questo caso sì, è uno spettacolo vecchio. Sono provocazioni che si sono viste ormai decine di volte e che finiscono per creare una tradizione altrettanto rigida quanto quella che si vorrebbe abbattere. Oggi per esempio va molto di moda accompagnare l’azione con mimi che dovrebbero alludere a qualche simbolo legato più o meno all’opera: si vedono personaggi che gironzolano sulla scena, come accaduto,  per esempio, nel "Don Carlo" allestito a Napoli con la regìa di Klaus Guth, dove un personaggio onnipresente, che saltellava tra i cantanti-attori,  induceva gli spettatori a chiedersi cosa mai volesse  significare. Il  contrappunto figurativo finiva per togliere all’azione , anche ben condotta, il suo mordente drammaco. Era qualcosa di sommamente disturbante che esprimeva qualche idea (incomprensibile) del regista.”
  • Un pò come è stato anche nella recente Aida di Verona?
“ Sì , ho visto solo alcune scene che  dovevano essere vuote , perché 'Aida" è un’opera piena di solitudini, e invece erano affollatissime. Ma se si toglie la solitudine, si toglie la poesia;  invece lì il palcoscenico era pieno di folla.”
  • Alla fin fine ci sono anche questioni legate ai costi. Hugo De Ana , in una intervista, mi disse che molte di queste regìe spacciate per minimaliste hanno costi esorbitanti, popolate come sono di assistenti e impianti luce aggiuntivi estremamente onerosi.
“ La moderna tecnologia delle luci e delle proiezioni offre possibilità straordinarie . Con le proiezioni, per esempio, si possono ottenere rapidissimi cambi di scena che un tempo erano garantiti dalle telette dipinte, oggi del tutto scomparse. Non solo: le proiezioni ci liberano dall’ossessione della scena unica che, anche per ragioni economiche, è stata molto impiegata negli ultimi anni , in molti casi schiacciando l’opera in un' estenuante monotonia. Le nuove tecnologie possono essere sfruttate molto bene per approfondire il significato drammatico e poetico del testo e rendere l’opera viva.  Se invece queste tecnologie vengono usate esclusivamente in funzione decorativa  per colpire gli occhi dello spettatore, diventano un ulteriore elemento distraente, contrario alla concentrazione drammatica . Insomma, per concludere, nell’Opera ci sono due aspetti: la componente musicale e la componente visiva. Se i due aspetti convergono e si potenziano a vicenda,  l’opera esprime la sua straordinaria forza espressiva.   Se divergono, la ragione stessa del melodramma  si autodistrugge.”