CULTURA E CONTI IN ROSSO
Martedì 28 Settembre 2010 08:20

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Si fa un gran parlare oggi in Italia di Cultura e soprattutto di Cultura da sovvenzionare statalmente, da non penalizzare con tagli, da incentivare. Da  una  questione meramente umanistica e antropologica ( la cultura come coltivazione dell'animo umano , come arricchimento e come insieme di valori fondamentali di ogni singola etnìa) siamo velocemente passati a una concezione politica: la Cultura è a sinistra, la Cultura viene penalizzata dalla Destra e viceversa, quando gli avversari son pronti certificare il contrario. Singolare il  fenomeno  , tutto italiano, che  vede  spesso  parlare di  Cultura  persone  completamente avulse a  questo  concetto: l'ignoranza  si accompagna  invariabilmente alla  spocchia  e  all'ostentazione.

Nel momento in cui stiamo scrivendo l'Italia vive un difficile passaggio: qui parleremo delle Fondazioni liriche, della loro crisi, dei teatri che chiudono, dei vecchi sistemi che cambiano.

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 (manifestazioni di protesta dei lavoratori del Carlo Felice, Genova)                  


Cerchiamo di focalizzare innanzitutto la questione del declino dell'Opera, strettamente legata ai tagli delle sovvenzioni pubbliche.

 Quando è iniziato il declino dell'Opera? E' stato davvero l'avvento di cinema e Tv a relegare questa forma eccezionale di spettacolo a spazi sempre più ristretti, a un pubblico sempre più scarso e monomaniacale? Da quando e perché il Melodramma si è trasformato in ritrovo di adepti, in Messa cantata e suonata (e costosa) per pochi eletti , ammessi in virtù di non si sa quali meriti al sacro rito? Perché l'Opera nazional-popolare dei tempi di Verdi e Puccini si è progressivamente mutata in qualcosa di sacrale, costoso e fondamentalmente voluttuario?

 

Intanto sarà bene ricordare ai tantissimi “ignoranti in materia” che l'Opera vide la luce ufficialmente il 6 ottobre del 1600 presso Palazzo Pitti, a Firenze, con la rappresentazione dell' Euridice di Peri e Caccini. Un nobile consesso di plauditores, un avito palazzo come scenario; non vi sono dubbi: uno spettacolo per pochi, un lusso per una cerchia ristretta di privilegiati, nulla a che vedere con i megaeventi di Pavarotti al Central Park, acclamato da giovinastri in brache di tela e canotta, pronti a mangiucchiare un hot-dog tra "La donna è mobile" e "O sole mio".

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 L'Opera nasce quindi già con un preciso connotato elitario e con la caratteristica di avere in Caccini l’ autore delle musiche e l' esecutore delle medesime. Giulio Caccini fu infatti il primo Divo operistico della Storia, progenitore dei vari Caruso, Gigli, Pavarotti, non a caso tutti tenori. Illuminante la Prefazione che volle apporre alla raccolta musicale denominata Le Nuove Musiche (1602), in cui si prodiga a dare esempi di “buona maniera di cantare”, un esercizio, conveniamone, che se pur ha avuto un principio non avrà probabilmente mai fine.

 

Dopo i primi esperimenti di successo presso i palazzi e le dimore signorili l'Opera non tardò ad approdare in Teatro. Pur essendo di proprietà dei nobili, i Teatri potevano finalmente ospitare anche le classi più umili, collocate in platea (all'epoca priva dellle comode poltrone in velluto ma provvista di sole panche di legno o posti in piedi) oppure nell'ultima galleria in alto, il famigerato Loggione o Piccionaia. I titolati e i ricconi alloggiavano nei palchi e da lassù, beatamente assisi, tra un gorgheggio e l'altro, potevano divertirsi in vario modo: le opere, soprattutte le prime, erano interminabili, anche sei ore e passa di durata. Uno dei giochi più in voga presso i Teatri della Serenissima (e non solo) consisteva nel far oggetto di sputi i poveracci che se ne stavano sotto, in platea, ad assistere allo spettacolo. Ce lo ricordano vari cronisti di quel periodo: il Saint-Didier in La ville et la République de Venise nel 1680, Gaspare Gozzi nella Gazzetta Veneta n.86, Giuseppe Baretti ne Gli italiani o sia relazione degli usi e costumi d'Italia, 1768-69, che testualmente scrive:

 

"I nobili hanno l'usanza di sputare dai palchetti nella platea.Quest'usanza odiosa e infame non può derivare se non dal disprezzo che ha l'alta nobiltà pel popolo, nondimeno esso tollera con molta pazienza tale insulto, e ciò che reca più sorpresa, si è ch'esso ama coloro che lo trattano in un modo sì villano; se qualcuno sente sulle mani o sul volto gli effetti di questi oltraggi, non monta sulle furie, ma se ne vendica facendo qualche breve ed arguta esclamazione."

 

Da ricordare anche che i ridotti dei teatri , cioè i foyers, ospitavano case da gioco. Chi si annoiava , chi non riusciva a digerire i lunghi recitativi di questo o quel personaggio, poteva tranquillamente abbandonare il proprio posto e recarsi a giocare, a bere qualcosa, a chiacchierare con gli amici. Da notare che i servizi igienici , fino a che non venne inventata la moderna toilette, erano rimediati con tragici secchioni posti addirittura all'interno del palco, in angoletti più discreti. Potete immaginare il soave effluvio di rose e gelsomini che invadeva il Teatro, dopo una o due ore di spettacolo:un vero e proprio sconcio, anch'esso censurato dai cronisti di allora.

Il Teatro d'Opera nasce come luogo di ritrovo dell'intera cittadinanza, crocicchio di tutta la comunità che vede in quella enorme bomboniera , affrescata e stuccata d'oro, un ideale centro di socializzazione. I palchetti sono circondati da specchi, che consentano agli astanti di guardare il palcoscenico anche se voltati o sbirciare impunemente le scollature delle damazze più eleganti e vistose. In Teatro si può bere, mangiare, giocare d'azzardo, assistere tra un atto e l'altro dell' operona di turno a piacevoli Intermezzi comici, generalmente eseguiti da pochi interpreti, oppure a balletti, spettacoli di genere circense (funamboli, mangiatori di fuoco, prestigiatori, animali addestrati). Insomma, si entra e non si esce più , fino a tarda o tardissima ora. Il Teatro (Opernhaus in Germania e Austria, Opera House in Inghilterra) è per l'appunto un' altra "casa" , dove trascorrere il tempo, dove vivere e sognare, con l'accompagnamento, a volte solo sottofondo, di musica lirica.

Un normale frequentatore d' Opera di oggi resterebbe scioccato dalle particolari condizioni in cui veniva eseguita una partitura nel Settecento o nell'Ottocento. Il rito iniziatico imposto dalla prassi attuale, fatta di silenzi , di concentrazione, di minimi brusii, si contrappone al clamore, agli schiamazzi, all'incredibile frastuono che accompagnava l'esecuzione di un normale spettacolo operistico. Berlioz , nelle sue Memorie redatte tra il 1803 e il 1865, ricorda così una recita di Elisir d'amore di Donizetti al Teatro della Canobbiana di Milano:

 

"Trovai la sala zeppa di gente che parlava ad alta voce e girava le spalle alla scena; ciononostante, i cantanti gesticolavano e si spolmonavano a più non posso, o almeno così mi lasciava credere il fatto che li vedevo spalancare una bocca immensa, poiché a causa del rumore che facevano gli spettatori, sarebbe stato comunque impossibile udire altro suono che quello della grancassa. Nei palchi si giocava, si cenava, ec. ec.".

 

L'Opera nasce quindi come spettacolo per un élite di nobili e di intellettuali, cresce e si esalta nei Teatri fino a conoscere grandi successi nazional-popolari verso la metà dell'Ottocento, matura e si stabilizza nel Novecento come spettacolo per tutti e di tutti, ormai ammirata come reperto archeologico di grande valore, riposta amorevolmente (se va bene) nella teca di un museo.

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Fino almeno all'ultimo trentennio del Novecento i cartelloni operistici dei pricipali Enti lirici italiani contavano un considerevole numero di titoli nell'arco della stagione, si andava all'Opera non dico tutti i giorni ma quasi. Così fu nel passato, così è ancora in talune città particolarmente "melomani" da garantire al pubblico una presenza quotidiana in Teatro, Così è a Vienna, a New York, a Monaco di Baviera, a Londra , Zurigo e Parigi. Ovvio che siano queste le mete preferite da chi ama l'Opera e ne vuole fruire in dosi notevoli.

In Italia i principali Enti Lirici, pozzo senza fondo buono per arricchire qualche sovrintendente, direttori artistici e qualche agente a esso collegato, sono andati progressivamente diminuendo i titoli in programma, posticipando l'inizio delle stagioni (l'Opera di Roma è giunta ad inaugurare la stagione a fine gennaio!!!), abbreviandole e centellinando le produzioni al ritmo di una ogni mese o quaranta giorni, per un totale di circa sei,sette titoli annuali! Restano invariati i costi: anche quattro milioni di Euro per una sola produzione, che non vengono nemmeno lambiti dagli incassi e dalle sovvenzioni statali. Di questa cifra si consideri che il solo 19% va per i cachet artistici, il grosso viene divorato dai costi dell'allestimento (regìa, scene, costumi). Cachet stratosferici per registi "alla moda" , magari quelli che ti piazzano un cubo sul palcoscenico e impiegano 40 giorni di prova per far sollevare un braccio al soprano; taluni sono arrivati a percepire anche 500.000 Euro a produzione. Onorari parimenti stratosferici a cantanti (spesso sottobanco una parte) e a direttori d'orchestra. Proprio in questi giorni, in piena cosiddetta “crisi”, i soliti accordi tra il sovrintendente di Parma e il potentissimo super-agente Procinsky, un mammasantissima della categoria, per un Trovatore diretto da Jurj Temirkanov hanno visto furibonde discussioni riguardo il cachet di quest'ultimo, che partiva da 50.000E a recita per poi addivenire alla somma compromissoria di soli 20.000E, sempre a recita. Tutto ciò a fronte di un maestro, indubbiamente bravo ma che non conosce bene il Trovatore: non si poteva chiamarne un altro? Più preparato e meno costoso?

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Gli Enti lirici italiani presentano , annualmente, un costante deficit di svariati milioni di euro; molti lo celano goffamente (clamoroso il caso dell'Ente lirico di Cagliari che nel 2004 presenta alla stampa 4,5 milioni di euro di deficit ufficiale , mentre invece la cifra reale risultava triplicata; stesso dicasi per il teatro Carlo Felice, commissariato fino al maggio del 2010 e poi clamorosamente ridotto ai minimi termini , tanto da essere sull'orlo della bancarotta ).

Ovvio che una simile situazione, perdurando nel tempo, abbia condotto a un vero disastro ; agli occhi dei nostri politici, che poi sono corresponsabili poiché da loro provengono le nomine ai vertici dei Teatri, l'Opera diventa un pozzo di San Patrizio, un lusso per pochi eletti o monomaniaci, un bene voluttuario, di cui si può tranquillamente fare a meno. Ci sono tagli da fare alla Finanziaria? Si tagliano i fondi del FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo: costringendo il maestro Muti , il direttore d'orchestra più spettacolare, a salire sul podio e ad arringare la folla come Masaniello o Savonarola. "Siamo stufi di mendicare!" ha gridato Muti dal palcoscenico degli Arcimboldi nel luglio 2004, protestando contro il totale disinteresse della politica per la cultura. Soltanto lo 0,39% del bilancio statale viene destinato dall'Italia ai beni culturali, contro l'1,35% della Germania, l'1% della Francia e lo 0,9% del Portogallo. Singolare, nel momento della bufera (quando addirittura si giunge a Genova allo sciopero della fame di 3 lavoratori del Teatro) il silenzio del medesimo “maestrissimo” , il quale si limita a sentenziare a Rai3 :”Ho già dato”.

Il concetto di “dare” cozza violentemente con il concetto di “prendere” visto che il mega-contratto previsto con l'Opera di Roma (due titoli annui e tutta una serie di concessioni al maestro Muti e alla sua “corte”) si aggira, pare, sui 2 milioni e mezzo di euro. E siamo in “crisi”, si badi!

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Altra corresponsabile è l'azienda televisiva di servizio pubblico, la Rai, un tempo attenta a riservare spazi importanti alla diffusione della cultura operistica, oggi totalmente dimentica di questo preciso obbligo e impegnata solo a contrastare (per finta) lo strapotere delle reti private. A titolo di pura, nostalgica informazione ricorderò alcuni dei titoli operistici proposti non da un Teatro d'Opera ma dalla stagione organizzata, in forma concertante s'intende (cioé senza scene e costumi), dall'EIAR , l'attuale RAI, nel 1937; si tratta di ben 46 titoli (!) tra cui: Adriana Lecouvreur, Arianna a Nasso (Strauss), Bohème (Puccini), Don Carlos, Elisir d'amore, Faust, Fedora, Manon Lescaut, Trovatore, Wally, ma anche opere nuove o di raro ascolto come Alcassino e Nicoletta (Barbieri), La Bella dormente nel bosco (Respighi), Le preziose ridicole (Lattuada), Siberia (Giordano), Thais (Massenet), insomma , una vera e propria abbuffata. Immaginate che razza di veicolo promozionale ed educativo poteva essere rappresentato dall'Eiar di allora, contro la Rai dell'Isola dei Famosi e de La prova del cuoco di oggi!? Per soffrire un pò di più varrà la pena di ricordare i cantanti di quella stagione: Gigli, Tagliabue, la Albanese, la Cigna, la Stignani, la Adami Corradetti, la Elmo, Merli, Pasero, nomi ormai mitici, leggendari, tra i massimi interpreti di ogni tempo.I direttori d'orchestra, lungi dall'essere routiniers o chaperons di simili cantanti, si chiamavano Gui, Serafin, Mascagni, lo stesso Giordano, Zandonai. Altri tempi, si dirà. Non ne abbiamo il minimo dubbio: altri tempi, se pensiamo che un articolo del 1992 a firma Luigi Pasquinelli ("Rai, il silenzio della musica"), pubblicato sul Messaggero di Roma, denunciava le scandalose 172 ore in un anno dedicate a concerti e opere, contrapposte alle 24.455 totali! Lo stesso anno, il direttore generale della Rai, Pasquarelli, decretò la morte delle orchestre e dei cori della Rai di Roma, Napoli e Milano, lasciando in vita la sola orchestra di Torino, un ennesimo schiaffo alla cultura e alla divulgazione della musica seria. Dal 1992 a oggi le centosettandue ore sono persino diminuite, riducendosi la Lirica alle apparizioni sporadiche di Katia Ricciarelli (dapprima in quanto consorte del potente Baudo, poi in qualità di ex-consorte!) , il Pavarotti International da Modena (durato una decina d'anni, interrotto nel 2004, ma che con l'Opera ebbe assai poco a che vedere), qualche comparsata di Muti (le prime scaligere, per carità di patria non vennero più trasmesse , dopo il clamoroso "flop" del Macbeth su Raiuno nel 1997) e naturalmente Bocelli, a prezzemolo, equamente distribuito tra Papa, Bush, Ground Zero, Limiti, Carrà, Venier, piazze di tutto il mondo e persino Teatri (Bohème da Cagliari, in diretta su Raidue). RaiUno trasforma Marzullo in “maestro di cerimonie” musicale (Musica per sognare o….sognare la Musica?), mentre la sola RaiTre conserva alcuni tradizionali spazi dedicati all'Opera ("Prima della Prima") , ma la messa in onda è stata spostata, colpevolmente, dalla seconda serata alle ore piccole, quando vegliano i gufi e gli insonni cronici. Fanalino  di coda  la  consorte virago di Costanzo, Maria  De Filippi, che  nel  suo  popolare  show  "Amici"  decide  nel 2009  di inserire  giovani  talenti  del genere  operistico: da qui il 'lancio' momentaneo di Matteo Macchioni,scitturato a Salerno per un “Elisir d'amore” diretto da Oren.

 matteo Matteo Macchioni e il maestro Oren

 

In una simile situazione l'ingresso dei privati, la necessità di trovare vivifiche sponsorship, il concetto stesso di ufficio marketing-fund raising (tutte nozioni sconosciute ai cultori famelici del 'vecchio sistema', quelli che hanno salassato e divorato i soldi pubblici nei teatri) sono fondamentali per un vero rinnovo del settore. Il teatro del futuro deve avere UN direttore artistico con UNA o UN segretario al suo fianco e un ufficio marketing ad esso collegato , dinamico, brillante, entusiasta, che attragga risorse verso gli eventi musicali da realizzarsi. Il cartellone non dovrà più dipendere da obblighi e ricatti di agenzia ma da ragionamenti seri, onesti e concreti: si parta dagli interpreti e NON DAI TITOLI. Se non hai il tenore per Trovatore ….non puoi fare il Trovatore.

Intanto, però, c'è il problema di tenere i teatri aperti: i furti perpetrati negli ultimi 20 e passa anni hanno presentato oggi un conto insanguinato.