TRIS D'ASSI A MONACO E CHÉNIER TRIONFA
Domenica 19 Marzo 2017 09:48

 

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Monaco di Baviera mette in scena Andrea Chénier di Giordano con un tris d’assi :Jonas Kaufmann, Anja Harteros e Luca Salsi, capitanati dal maestro Omer Meir Wellber, trentacinquenne già affermatosi in svariate produzioni operistiche. Lo spettacolo è firmato da Philpp Stölzl ,di cui molti appassionati ricorderanno l’applauditissima Cavalleria & Pagliacci di Salisburgo, dirette da Thielemann.

Non vi è decontestualizzazione, non vi sono biciclette e frigoriferi, l’impianto è classico con costumi d’epoca , sventolano i vessilli francesi, le tricoteuses urlano sotto alla classica ghigliottina e la testa mozza del protagonista viene persino mostrata al pubblico, per la gioia dei detrattori del celebre tenore. Stölzl però copia sé stesso e ,come nella produzione sopraccitata ,svolge l’azione su diversi piani come attraverso i monitors di una cabina regìa televisiva:una grande casa di bambole in cui ogni stanzetta è occupata da diversi personaggi e differenti azioni sceniche.L’effetto è indubbiamente interessante e a tratti produce scene memorabili, come quando si intravede la folla  urlante in slow motion dietro alla coppia degli innamorati, condotti al patibolo. E’ uno spettacolo godibile, forse con troppi siparietti oscuri, avvolti dalle tenebre, e certamente molto distraente durante le grandi arie.Un esempio per tutti: quando Gérard canta “Nemico della patria” ,lo vediamo inscatolato in alto a destra mentre altre pantomime si svolgono nel resto del grande caseggiato, compresa la tortura del povero Chénier. Un pò troppo, francamente. Tuttavia non lamentiamoci, il clima torbido e violento della Rivoluzione francese viene fuori a tutto tondo, anche con crudo realismo: Maddalena sfregiata nel II atto, impiccato l’abatino,prostitute in evidenza, sangue un pò ovunque e ,come si diceva, la decapitazione a vista.Non si può volere di più.

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La compagnia di canto, guidata da un eccellente Wellber (non mi erano piaciute Tosca e Aida alla Scala, molto disordinate ma stavolta tutto è filato liscio, con una strepitosa orchestra in buca) ha visto primeggiare il trio dei protagonisti, tutti impegnati sul doppio versante vocale e scenico con straordinario talento.

Jonas Kaufmann è uno Chénier giovanile e dinamico, con tanto di occhialetti che fanno  “intellettuale” ,costretto dalla regìa e dal suo stile attoriale a una sorta di moto perpetuo che non si arresta nemmeno durante le arie più famose o nel corso dei fraseggi più impegnativi vocalmente.Ed è proprio questo l’asso nella manica del grande interprete: non guarda mai il direttore d’orchestra, come se non esistesse, non si piazza mai a gambe larghe davanti al pubblico magari alzando un braccio per accompagnare il “giro” della voce, non è mai ESTRANEO a ciò che rappresenta sul palco, a ciò che dice, a chi lo dice e perché lo dice. Kaufmann è il più grande attore-cantante di oggi, l’unico che possa raccontare con passione e credibilità personaggi a volte lontani o coinvolti in sentimenti che sembrano annichiliti dall’attualità.Andrea Chénier è da molti considerata una “operaccia” ma affidata a simili interpreti diventa un monumento. Intendiamoci, la stessa cosa accadeva nel passato con serate memorande in cui De Sabata sul podio e Del Monaco sul palco regalavano emozioni musicali indicibili, o Votto con la Callas, o Von Matacic con Corelli, Tebaldi e Bastianini. Da Kaufmann non possiamo pretendere le stesse dilaganti vocalità:l’emissione è diversa, più introspettiva meno sfacciata, fa spesso uso della fibra e di note ingolate che sembrerebbero (e sono) contro ogni ortodossìa del canto lirico ,anche a discapito della propria integrità fisica (non dimentichiamo che il tenore è reduce da quattro mesi di forzato silenzio per una forte stanchezza vocale).Tuttavia il fattore “canto”  è trasceso, o meglio:il canto è a totale servizio della parola scenica e dell’azione scenica stessa.Da seduto Kaufmann gira perfettamente i si bemolli, canta in tono il finale (e Dio solo sa quanto pesano quei si naturali), parte in pianissimo con il tremendo labemolle acuto di “Ora soave” per poi rinforzarlo (effetto non riuscitissimo ma lodevole negli intenti) ,tutto ciò guardando sempre negli occhi Maddalena…cosa che, mi dispiace, non facevano se non a tratti i cantanti delle precedenti generazioni.Basta prendere i video e fare i debiti confronti. Vocalmente Kaufmann ha dalla sua un colore scuro (ancor più scurito dal suo metodo) ,la facilità ad agganciare gli acuti (che sono sempre sicurissimi) e un fraseggio che non teme alcun confronto, ieri e oggi:la musicalità eccezionale, che vuol dire saper legare le frasi a regola d’arte dando senso espressivo alle stesse, il gioco dei colori, l’uso di una dinamica varia e sempre pertinente.Non è poco ,anzi: è tantissimo e questo fa di Kaufmann il più grande interprete moderno.

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Al suo fianco un eccezionale Luca Salsi, che dopo aver cantato Verdi nel corso di tutta la sua non lunghissima carriera, debutta un ruolo verista con un impegno e un entusiasmo premiati dalle ovazioni del pubblico.Il baritono, nel pieno della sua maturità, sceglie la strada maestra quella del canto “sulla parola” :ogni frase ma direi ogni sillaba in Salsi ha il suo senso espressivo e il giusto peso vocale, sia nelle arie che durante la grande scena con Maddalena che segue “Nemico della patria” .La voce suona calda e morbida, nella prima aria “Son sessant’anni” si intuiscono i tanti Rigoletti cantati da Salsi, quel tono dolente ma sempre vigoroso, attentissimo ai dettagli espressivi e agli accenti.Un debutto straordinario con punte di autentica commozione come nel finale del secondo atto e  nella scena del Tribunale , in cui la veemenza diventa pura disperazione.Peccato che la regìa distraesse con le controscene quel sublime momento di puro teatro che è stato “Nemico della patria”, riscattato da una prorompente interpretazione e siglato da una ovazione clamorosa da parte del pubblico.

Anja Harteros è un soprano sensibilissimo e di bella e sicura vocalità, anche se abusa moltissimo della gola (la voce nasce in gola, lo sappiamo, ma non deve restare lì…dovrebbe salire qualche gradino e risuonare bene nelle cavità alte per assicurarsi squillo, duttilità, libertà..) .Tuttavia, con abilità e musicalità eccezionali, riesce a esibire una gamma vastissima di colori, dai pianissimi più trasparenti ad acuti magari un pò “dritti” ma centrati e, soprattutto, è sempre IL personaggio, da quando entra alla fine. Non si è mai grandi per caso:le espressioni facciali, gli occhi della Harteros molto spesso parlano e cantano da. soli, senza nemmeno l’ausilio della voce.

Un successo grandioso per tutti, come si è detto, ma non posso chiudere questo articolo senza applaudire, commosso, la grande Elena Zilio che ha saputo dare un rilievo memorabile alla piccola parte della vecchia Madelon, come solo i fuoriclasse sanno fare.Quando è uscita in proscenio per gli applausi ha ricevuto la stessa ovazione dei protagonisti e il pubblico, come diceva Gigli, giudica.

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