Addio a Cesare Siepi, l'ultimo grande basso nobile
Martedì 06 Luglio 2010 12:28

                                              siepi

Un altro grande dell'Opera ci lascia e si tratta di Cesare Siepi, voce tra le più belle e autorevoli del secolo che ci ha preceduti. Le caratteristiche principali del suo canto sono state la morbidezza , la nobiltà, la calda profondità del suono, il velluto  uniti  a  uno  stile  e  a una misura  che  solo  pochi  fuoriclasse  in un  secolo  sanno e  possono  esibire.

Ho avuto la fortuna di ascoltare dal vivo Cesare Siepi , già anziano, in varie occasioni  (Don Carlos, Favorita, Barbiere, Jérusalem, Requiem di Verdi, concerti)  e non posso dimenticare l'autorità che sapeva esprimere a ogni frase, il legato quasi strumentale e  il  suo  famoso  registro basso così denso di armonici, un pedale d'organo.

              Siepi_Don_Giovanni Siepi  come  Don Giovanni

E' stato il grande erede di Ezio Pinza al Metropolitan di New York, debuttò giovanissimo in Italia come Sparafucile e la sua carriera esplose com'è ovvio fin dagli esordi.

 

Fu un sommo Don Giovanni (memorabili le recite salisburghesi sotto la bacchetta di Furtwaengler) , ma anche Figaro nelle “Nozze”, Sarastro, fantastico nel ruolo di Fiesco nel Simon Boccanegra di Verdi, Mefistofele sia in Boito che in Gounod, Filippo II in Don Carlos, Ramfis nell'Aida e ancora Zaccaria nel Nabucco,Padre Guardiano in Forza del destino, Baldassarre nella Favorita, un gustosissimo e tonante Don Basilio nel Barbiere di Rossini, sommo concertista, eclettico nel repertorio....un cantante di classe eccelsa.


Ci sono frasi legate indissolubilmente alla voce grande e pastosa di Siepi: “Non imprecare umiliati” dalla Forza del destino, “Ecco il mondo” dal Mefistofele, “Ella giammai m'amò” nel Don Carlos, “Splendon più belle in ciel le stelle” dalla Favorita in cui scendeva con facilità estrema al do1 basso , una nota sepolcrale che risuonava in tutto il Regio di Parma come fosse all'ottava superiore.


Era un uomo molto schivo, anche burbero negli ultimi anni di carriera (e di vita). Ebbi modo di intervistarlo per la Barcaccia in tre occasioni, ma sempre con qualche difficoltà : non amava parlare di sé, del suo passato, dei suoi colleghi. Odiava soprattutto l'assillo dei tanti fans (diciamo pure che Siepi, mito assoluto, era circondato da un'aura quasi sacrale) e soprattutto dei più insistenti, quelli che telefonano a tutte le ore senza pudore e senza vergogna. Dopo una diffidenza iniziale poco a poco si apriva e i ricordi delle stupende serate che lo videro protagonista, gli ascolti discografici, riuscivano a fargli cambiare l'umore e schiudevano le porte verso un Olimpo mai più ripetibile. Viveva tra Milano, sua città natale, e gli Stati Uniti, sua terra d'adozione. L'ultima volta lo incontrai a Vienna, era presidente d'un concorso di canto indetto dalla Staatsoper: lì fu affabile, sorridente, i modi del gran signore che fu sul palcoscenico, sempre, elegantissimo. All'occorrenza, quando voleva, sapeva essere burlone anche lui: a Parma, mentre Rosina nel Barbiere cantava la sua aria, Siepi dietro le quinte la imitava in falsetto, gorgheggiando “Ma se mi toccano, dov'è il mio debole”...una scena irresistibile.

Insieme al baritono Valdengo incisero il duetto “del Vermone”, così chiamato perché sulla musica del noto “Cheti cheti immantinente” del Don Pasquale, parodiavano le crisi del dottor Duroni, assillato dal verme solitario, soccorso dal dottor Liberini. Una gag formidabile che fu udita anche da Arturo Toscanini, il quale commentò: “Sporcaccioni! Non avete mai cantato così bene in tutta la vostra vita!”.