L'UOMO, LA MASCHERA
Lunedì 26 Luglio 2010 15:00

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Chi normalmente  frequenta  il  teatro  d'Opera  o chi  semplicemente  ascolta  dischi  di  musica  operistica  avrà  notato, oggi,  una certa  confusione  per  quanto  riguarda  i  parametri  canori classici. Baritoni  che  cantano  da  tenore,  tenori  che  cantano  da  baritono, bassi  che  sembrano  tenori,  soprani  corti  che  cantano  da  mezzosoprano, mezzosoprani  che  vogliono a tutti  costi  cantare da  soprano  drammatico, voci  ibride che  non  sapresti  a  quale  categoria  assegnare e  che  pure  cantano  "Norma"  con apparente disinvoltura. Tale  babelica  confusione  trae  origine, per  me, dalle  conseguenze a  vasto  raggio  del  cosiddetto  "villaggio  globale" . La  globalizzazione è  appunto  un  grande  minestrone  in cui  tutto  si  mescola  perché  tutto  è  ,in fondo, uguale. Lodevole  idea  per  quanto  riguarda  le razze, i  popoli  e l'iniqua piaga  della  xenofobìa, che tutti condanniamo. Ma  nel  Canto e  nell'Opera  la  globalizzazione è  quanto  di  più  pernicioso  e, di fatto, impossibile  possa  essere  concepito. Le  categorie  vocali nascono  per  precise esigenze  stilistiche, vocali, drammaturgiche  e  un tenore  resta  un tenore, così  come  un baritono, un basso, un soprano  e  un mezzosoprano  sono  tali  perché  obbediscono  a  canoni  e regole  precise.

                  barbiere

Si  nasce  con una  voce che  è  quella ,  per  evidenti  caratteristiche  fisiche  : il  timbro, il  colore della  voce, è  appunto  determinato  da  parametri  molto personali, dalla  lunghezza o larghezza  delle  corde  vocali  per  esempio, dalla conformazione dell'apparato  laringeo,  da  tanti  fattori  che  non starò  qui ad enumerare  e  che  ognuno  potrà  verificare  sui  propri  'motori  di  ricerca'.

Quello  che  ora  vorrei  porre  in risalto  è  invece  il  prolificare, in  questa  confusione, dei  cosiddetti  cantanti  "ingolati" ,  cioé  di  quegli  artisti  (anche bravissimi, per  carità)  che  invece  di  usare  le  cavità  di  risonanza  alte  (la  cosiddetta maschera) , usano  la  falsa  cavità  e  cioé la gola.

Non  si  usa  la  gola  per  gioco, per  pigrizia  o  per  comodità  ma  per  difetto  di  impostazione, per  studio  iniziale  non  corretto. La  gola  conferisce  alla  voce  un colore  apparentemente  più  scuro, più  rotondo, in certi  casi  (le  cosiddette  "gole d'oro"  o   "gole  di  ferro") anche  più  bello  rispetto a  una  voce  "in maschera".

          maschera

Il  canto “in maschera”  è  in effetti un vero  e  proprio  totem. Si  intende :la posizione del suono nelle giuste cavità di risonanza, che sono per tutti quelle del volto (fronte, zigomi, palato, naso…). La “maschera” aiuta ovviamente a proiettare la voce il più distante possibile: gli antichi attori delle tragedie greche, all’aperto, usavano appunto delle maschere teatrali per ampliare la voce, come dei megafoni.

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Perché  è  bene  cantare  in maschera?

L’uso sapiente di queste risonanze aiuta soprattutto a non stancarsi. Molti cantanti fanno splendide carriere con un buon numero di difetti d’emissione (pensiamo a nomi mitici come Tito Gobbi, evidentemente ingolato sugli acuti  ma incredibilmente  espressivo  ed emozionante come  si  evince  da  questo  ascolto  tratto  dal  "Macbeth"  di  Verdi.

 

Un  orecchio  attento  e  mediamente  esperto  avrà  colto  la   gola  chiusa ogni  volta  che  la  voce  di  Gobbi  deve  salire  oltre  il  re, fino  a  un  quasi  impossibile fa diesis  acuto  e  a una  chiusa  (sa-rà) in cui si  percepisce  benissimo  il  "raschiare"  tipico  di chi  usa  la  gola. Ma  ciononostante  Gobbi  è  Macbeth, forse  più  di  chiunque  altri, per  l'espressione, l'abbandono, il senso  del  dramma. Un  tipico  (e  non raro)  caso  di  cantante  ingolato  ma....eccelso.

Un caso  diverso  è  quello del  cantante prettamente "nasale" ,cioè colui che sfrutta le risonanze alte e precipue di quella parte della maschera. Questo  tipo  di  cantante  avrà la tendenza a schiacciare i suoni , magari anche a rendere qualcuno petulante, da “bambino cattivo” (soprattutto sulla vocale “e” e “i” in zona acuta), ma che terrà preservata la gola da sforzi e pressioni più di un cantante che sfrutta la cosiddetta “falsa cavità” (che  è, come  si  è  detto, la gola, il canto laringeo), destinato a un declino prematuro e a una limitazione notevole nel repertorio. Con questo non si vuole certo lodare l’emissione nel o con il naso, che può risultare spesso molto sgradevole.

 

Nel  Brindisi  testé  ascoltato, con Giuseppe Sabbatini, Vincenzo  La  Scola  e  Neil  Shicoff (2006) si  potrà  notare  benissimo  la  differenza  sostanziale  tra  una  emissione  "nasale" (Sabbatini) e  una  più   ortodossa  (La  Scola) , che  sfrutta  cioé una  cavità  meno  ristretta.

Domingo, citato  prima,  ha  saputo  usare  a  meraviglia le  risonanze rinofaringee, tanto da riuscire  a cantare  per  oltre  50  anni  un  repertorio smisurato, non solo  da  tenore  ...ora anche da baritono. Il  suo  è  un caso a  parte: non già  una  "gola  d'oro"  (anche  quella, poiché  il  colore  di  Domingo  e la  sua resistenza  sono  eccezionali) ma  direi  piuttosto  un  "naso  d'oro" , visto  che  in  quel  beato  anfratto  si  cela  il  segreto, il  Santo  Graal del tenore  madrileno.In possesso  di  un  la  bemolle   ottimo, di  un la  ancora  squillante  e  di  un  laborioso  si  bemolle, Domingo  riesce  tuttavia  a  salvarsi  (per  il  rotto  della  cuffia)  persino  in una  terribile  aria  come  "Celeste  Aida", in cui la  tessitura  è  davvero  improba.

 


Aureliano Pertile , sommo “tecnico” della vocalità, consigliava di trovare immediatamente il punto di risonanza della propria voce (il “focus” vocale, per l’appunto), cioè quel magico “buco” dove infilare tutti i suoni, uno dentro l’altro o uno dietro l’altro. Anche qui, come per la respirazione, una pletora di sensazioni e di teorie. La Nilsson mi disse che il suo punto focale era collocato tra gli occhi; il soprano Margherita Rinaldi, rinomata docente, parla di un suono al centro del palato duro; la Dimitrova diceva che i suoni si spostavano, i più gravi erano sul palato dietro agli incisivi, poi man mano che si saliva verso acuti e sopracuti, ci si spostava prima al centro del palato poi dietro, verso il  centro  della  testa.

 

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Kraus insisteva sull’utilità degli zigomi, per “tirare” su la voce verso la maschera, e utilizzava “il sorriso” per gli estremi acuti; così anche il grande Nicolai Gedda.

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Molto dipende dalla fisionomia di ogni cantante: chi ha il volto rotondo e la bocca piccola non potrà mai atteggiarsi come chi ha un volto allungato o un nasone prominente con la bocca larga. Contano le risonanze interne, caso mai, cioè la gola aperta .

Mi ha sempre molto colpito un precetto esposto ossessivamente da Luciano Pavarotti:” Per cantar bene e giusto la voce deve essere sempre alta, piccola e raccolta.”  E'  esattamente  così  che  Pavarotti  ha  cantato  tutta  la  sua  vita, giungendo  anziano  a  una  invidiabile freschezza  timbrica  e  ampliando  via  via  il  proprio  repertorio.Nel  1996, a  35 anni  dal  debutto,  cantò  in modo  esemplare  (tecnicamente  parlando...sullo  stile  si  può  eccepire) "Andrea  Chénier".

 


A ben vedere è la regola di moltissime voci illustri: da Schipa a Valletti, da Bidù Sayao a Bjoerling, da Fleta a Pertile, da Gigli a …Pavarotti.

Stavo  guardando  con attenzione  un video  di  Mario  Sereni  (immenso baritono) due  giorni  fa: sui  sol  acuti  la  bocca  non si  spostava  d'un millimetro, rispetto ai  centri  poiché  l'apertura era  tutta  interna.Il  documento  in questione  è  alquanto precario: una recita all'aperto, nel 1980, con una  straordinaria  Mariella  Devìa  (altra  maestra  assoluta  di  tecnica).


Lo  stesso  faceva  Aldo  Protti, mentre  nel  faccione  tutto  occhi  e  zigomi  della  Callas (altra  super-tecnica) si  nota  benissimo  il  sistema  del  'sorriso'.


Tradotto in termini più accessibili  : posizione del suono alta (in maschera), suono piccolo (al proprio orecchio “interno”, ma che diventa grande per chi ascolta da fuori: un altro paradosso del canto) e raccolto (altro termine facile da equivocare: è un suono leggermente scuro, arrotondato, che poggia soltanto sul fiato). Un esercizio molto utile per proiettare la voce in maschera è quello di alzare le arcate sopraccigliari mentre  si sale agli acuti: raramente chi aggrotta le ciglia salendo, usa correttamente la maschera.Un  esempio preclaro  in  questo  senso  è  dato  dalla fenomenale  Joan Sutherland, qui  nei  "Masnadieri"  di  Verdi, parte  scritta  per  l'usignolo svedese  Jenny  Lind.


Da controllare anche con uno specchio il movimento dei muscoli facciali, collocati all'altezza degli zigomi: se lavorano e si sviluppano....buon segno.Chi canta bene di solito ha questi muscoli molto sviluppati.Chi canta male tende invece ad avere sviluppata la falsa cavità, cioé la pappagorgia. Si  osservi  bene  anche  la  lingua: se  salendo  verso  gli  acuti  tende  a  salire o  a  sollevarsi  come  un materassino  gonfiabile...brutto  segno...vuol  dire  che  la  gola  sta  entrando  in gioco.

Vi  sono  molti  cantanti  attuali  che  cantano  usando  più  la  gola  che la  maschera: la  Netrebko, per  esempio,  un colore  stupendo ma , com'è  tipico  di certa  scuola  russa,  molta  gola. Kaufmann, il  superdivo  del  momento,  usa  moltissimo  la  gola   intesa  come  falsa  cavità, tuttavia  riesce  a  risolvere  la  zona  acuta  grazie  a  un uso molto  buono del  fiato.


Rolando  Villazon, dopo  una  serie  di  operazioni  foniatriche  ha  dovuto  interrompere  la  carriera, in giovane  età. Gli auguriamo, ovviamente, di  riprenderla magari  con una tecnica  più  accorta e  meno legata  all'imitazione  (errata)  di  Domingo.La  Dessay, strepitosa  artista , ha  subìto parimenti  varie  operazioni, proprio  per  l'abuso  di  note  (soprattutto  sopracute) emesse  in modo  non  proprio  ortodosso, seppur  spettacolare. Di  solito  i  problemi  iniziano  dopo  il  35mo   anno  di  età,  quando  la  fibra  non  più  freschissima  non  può  più   sopperire  ai  problemi di  ordine  tecnico.