RIGOLETTO AL MET, più che gobbo....zoppo!
Sabato 30 Aprile 2011 14:20

                                                 

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Spiace dover registrare un'altra brutta esecuzione verdiana presso il massimo teatro degli Stati Uniti, ma pare che al Met questa sia ormai una triste consuetudine. Stavolta a farne le spese è il “Rigoletto” , che pur presentava nomi abbastanza prestigiosi in locandina: il soprano Damrau come Gilda, il tenore Filianoti come Duca, il baritono Zeljko Lucic come Rigoletto, sul podio il maestro Fabio Luisi.

La  locandina:


Rigoletto - Zeljko Lucic
Gilda - Diana Damrau
Duke of Mantua - Giuseppe Filianoti
Maddalena - Nancy Fabiola Herrera
Sparafucile - Stefan Kocan
Monterone - Quinn Kelsey
Borsa - Mark Schowalter
Marullo - Joshua Benaim
Count Ceprano - Jeremy Galyon
Countess Ceprano - Corinne Winters (Debut)
Giovanna - Kathryn Day
Page - Patricia Steiner
Guard - Joseph Pariso

Conductor - Fabio Luisi

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Una punta di delusione viene proprio dalle scelte del concertatore, pur attento a seguire i cantanti e a imprimere il giusto piglio drammatico alla partitura, cade nel brutto vezzo di tagliuzzare la bella cadenza scritta da Verdi per il duetto “E' il sol dell'anima” e di staccare i tempi del duetto “Sì vendetta” invertendoli, senza rispettare la volontà verdiana indicata precisamente con i metronomi che sono : 1) allegro vivo (semiminima a 138) “Sì vendetta”, 2) Poco più mosso (semiminima 144) “Colpire te colpire il buffone saprà” . Quindi un attacco leggermente più lento per poter stringere alla fine. Luisi fa l'opposto (seguendo in questo molti maestri del dopo-Muti) : attacca velocissimo e deve rallentare alla fine. Peccato, perchè la concertazione di Luisi resta un esempio di eleganza e buon gusto, oltre alla capacità di saper respirare con i cantanti.

Il cast  zoppica  da tutte le parti, eccetto la perfetta Gilda della Damrau. Di Filianoti e della bellissima voce che tutti ricordiamo resta una pallida ombra e lo dico con sommo dispiacere: la gamma è forzata, compromessa da continue raucedini e note traballanti, i tentativi di addolcire o smorzare i suoni si trasformano in falsetti , ovunque si avverte la fatica. Ne risente ovviamente il fraseggio e la baldanza del personaggio, che dovrebbe affrontare la tessitura con levità e libertina nonchalance.In simili condizioni “la donna è mobile” pesa due tonnellate e così il Quartetto “Bella figlia dell'amore” .

 

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Il baritono Lucic è un orco, null'altro: Shrek a Mantova. Non una frase detta con umanità e morbidezza, tutto è pressato, gutturale, volgare (nel I atto cachinni della peggior specie : “E noi clementi invero perdonammo” , detto come potrebbe un Don Pasquale della più infima provincia), fino alle urla belluine che si odono sui sol e sul la bemolle che chiude il terzo atto.

Di medio livello il basso Stefan Kocan e il mezzosoprano Herrera, che eseguono senza infamia e senza lode la loro parte. Modestissimo il gruppo dei comprimari.