BOLOGNA, ossia la Scuola di Peggioramento....
News
Sabato 24 Luglio 2010 17:10

Leggo  dal  "Corriere  della  Grisi" , un blog  spesso  spietato  ma  preciso  e  dettagliato  nelle  sue critiche:


venerdì 23 luglio 2010

Saggio di fine anno al Comunale di Bologna

 
Il Comunale di Bologna affida come di consueto ai propri cadetti l'onore e l'onere dello spettacolo estivo. Le passate stagioni i titoli prescelti erano stati L'Olimpiade di Leonardo Leo e Madama Butterfly. Quest'anno, modestia e prudenza hanno consigliato alla dirigenza felsinea di orientare gli allievi della locale Scuola dell'Opera verso titoli un poco più abbordabili: la Serva padrona e un'operetta di Offenbach, Pomme d'Api. Titoli peraltro deliziosi e degni di grande considerazione, e che esigono organici e abilità vocali ed espressive, che con maggiore facilità possono trovarsi in un "vivaio" ovvero conservatorio di livello almeno accettabile.

Certo i brutti cattivi e prevenuti compilatori del Corriere sono all'occasione sfiorati dal dubbio che la modestia e prudenza della scelta siano dettate dall'oggettiva impossibilità, da parte del teatro bolognese, di servirsi delle forze di spicco della Scuola, attualmente impegnate in quel di Martina Franca a infondere nuova vita a titoli dimenticati (in primo luogo da sovrintendenti e direttori artistici) del Belcanto.
Il dubbio cresce, si rafforza e si sostenta col leggere sul programma di sala che il dittico Pergolesi-Offenbach costituisce una produzione con svariati istituti teatrali di primo piano (Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, dove peraltro l'opera del genius loci sarà presentata nella sua versione francese, Teatro Rossini di Lugo, Festival della Valle d'Itria, appunto, Fondazione Teatro Due di Parma, IUAV di Venezia) e che quindi accampa con qualche fondata ragione (specie economica) pretese di eccellenza, che esulano dall'ambito di normale competenza di una recita scolastica.
Come spesso accade il risultato in teatro confligge pesantemente con le ambizioni annunciate dal cartellone e induce ad alcune riflessioni.
La prima è che le voci gravi sono estinte o quasi, e non per insondabili misteri di natura, ma per schietti problemi tecnici. Nella Serva il prescelto Uberto, Davide Bartolucci (che approda al ruolo avendo già sostenuto nello stesso teatro parti ben più consistenti, non ultima quella del dottore Malatesta), ha voce non già di baritono Martin, ma di schietto tenore, di contenuto volume perché di insufficiente proiezione, bianca e 'tirata' in acuto (i fa dell'aria "Sempre in contrasti"), al limite dell'udibile in basso (aria "Sono imbrogliato io già"), sempre meno ferma e stabile con il passare dei minuti e l'aumentare della fatica. Inoltre, forse per scelta registica, spesso la linea vocale si piega ad effetti di semplice parlato, non solo nei recitativi ma anche nelle arie ("or questo basti, basti, BASTI!"). Peccati veniali, o quasi, di fronte alla performance di Mattia Campetti, che dopo essere stato un torvo e simpatico Vespone nella Serva passa al ruolo del celibatario incallito di Pomme d'Api, cantando l'elementare parte con voce ingolfata e cavernosa, traballante almeno quanto il francese esibito nei dialoghi parlati. La disinvoltura dell'attore non fa che sottolineare la scarsa tenuta del cantante.

La seconda riflessione riguarda la componente femminile dello spettacolo, che pur esibendo doti vocali più interessanti rispetto alla controparte maschile non è stata comunque all'altezza (non insormontabile) del compito. Lavinia Bini, in particolare, pur con uno strumento di tutto rispetto (nei duetti faceva scomparire il partner), ha emesso suoni poco o nulla appoggiati, in un'imitazione (non sappiamo dire se conscia o inconscia) di quello che oggi passa per modello vocale della categoria del soprano di coloratura, Diana Damrau. Il risultato è che nell'aria "Stizzoso mio stizzoso" basta un semplice la acuto (che per un soprano, che in natura sarebbe assoluto, è una nota centrale o quasi) per indurre la Bini a emettere suoni più vicini allo strilletto che al canto lirico. Quanto alla tenuta complessiva, dopo una prima parte affrontata con l'ausilio della vigorosa natura, il soprano ha cantato con voce molto meno sonora l'arietta patetica "A Serpina penserete", parodia della vocalità dell'opera pastorale, finendo per indebolire la scaltra seduzione attuata dalla servetta. Anna Maria Sarra, in Pomme d'Api, ha cinguettato graziosamente la parte di Catherine, di scrittura prevalentemente centrale e quindi poco o nulla udibile già dalla metà della non foltissima platea. Entrambe le signorine sono spigliate nella recitazione (pur con qualche incertezza da parte della Sarra nelle primissime scene dell'operetta), ma come per i signori, anche questa è lungi dall'essere una circostanza attenuante circa la tenuta del loro canto.
Un discorso a parte merita Francisco Brito, che canta la parte del tenore in Pomme d'Api con eleganza, ma anche con voce debolissima al centro, più sonora ma anche chévrotante e di dubbia intonazione nelle parche escursioni all'acuto (con un paio di puntature discutibili, per gusto ma soprattutto per risultato), legato poco o nulla consistente. Anche in questo approccio all'archetipo del tenore di grazia non si fatica a rintracciare un modello, quello di Juan Diego Florez. Del resto non è strano che un giovane cantante tenti di imitare il più quotato tenore belcantista del mondo. Sarebbe peraltro compito dei suoi tutori proporre al giovane cantante altri e diversi modelli di canto.
Alla testa dell'orchestra del Comunale in formazione da camera, Salvatore Percacciolo ha diretto con poca verve e qualche sbavatura (specie nell'intermezzo pergolesiano), senza rendere un grande servizio alla musica. Forse un direttore più navigato avrebbe saputo trarre maggiore partito dai virgulti della Scuola dell'Opera.
Allestimento anche questo "accademico" (scene di Giada Tiana Claudia Abiendi e Lucia Ceccoli, costumi di Massimo Carlotto, Manuel Pedretti, Vera Pierantoni Giua, luci di Daniele Naldi, regia di Stefania Panighini), decisamente cupo per la Serva, vista come un triangolo erotico fra il morbosetto e lo psicanalitico (Carsen?), ugualmente minimalista ma più scanzonato e ammiccante - e quindi ben più rispettoso del testo - per Pomme d'Api.
Pubblico poco folto (malgrado sconti e biglietti omaggi generosamente profusi su Facebook, erano pieni - ma lungi dall'essere esauriti - solo il primo ordine dei palchi e la platea) e successo di cortesia al termine della rappresentazione.
                                     note_musicali
Commento:
La  scuola  dei  giovani  a  Bologna  è  nata, lodevolmente,  per creare un vivaio operistico, tale da garantire  solide  leve  per  il  futuro. Simili  iniziative dovrebbero  essere  d'obbligo  in ogni  teatro,  in linea di  principio. Si suppone, si  presume  che  vi siano maestri degni  preposti a  tale  compito, tali da  assicurare  non dico  delle scritture  al  Met  o alla  Scala  dopo  due  anni  di  tirocinio, ma  per  lo meno  un decoroso  saggio  di  fine  anno. Ciò, a   quanto pare, non avviene  ed  è  grave.
Allora: la  colpa  non  può  essere ascrivibile  agli  allievi, che  stanno  lì  per  imparare. Di chi  è?  Dei maestri, certamente  ma  soprattutto  di  CHI  scrittura  i  maestri  o  non li  mette in condizione  di  poter  insegnare  al  meglio  delle  loro  possibilità. Ricordo  di aver ascoltato i  terrificanti risultati dei  "Puritani"  di  Bellini  (un'operina  facile  facile!!!) affidati a  giovani allo sbaraglio. Questa  è  pura  follìa. Follìa  autorizzata  e  pagata.
Ora  non si  riesce  più  nemmeno a  mettere  in piedi  una  "Serva  padrona"  e un  "Pomme d'Api"   decenti.
Che la  scuola  chiuda  se  questi  sono  i  risultati  oppure  resti  aperta...ma  vengano cacciati  i  responsabili!
 
E LA NAVE VA...ma dove?
Note
Sabato 24 Luglio 2010 16:37

     titanic1

Il mondo dell'Opera, i suoi personaggi, le sue vicende sono caratterizzati da questi tre difetti capitali: ipocrisìa, permalosità e supponenza. Sono i vizi che trascinano alla rovina la straordinaria bellezza e la magìa del Melodramma. L'Opera dovrebbe imparare dalla spettacolo leggero, dalla disinvolta semplicità delle starlettes quando rivelano l'ennesima operazione di chirurgìa plastica o un flirt, davanti alle telecamere. Provate ad affermare semplicemente “Quel cantante non mi è piaciuto!” e vedrete cosa succede: per aver detto di Franco Mannino Mannino-Franco-05 che la sua direzione d'orchestra era stata , a mio avviso, abbastanza indecorosa, fui minacciato dalla Direzione Generale della Rai (sollecitata dallo stesso, potente maestro) di essere sospeso per una settimana (come a scuola!). La cosa rientrò soltanto dopo che furono promesse al medesimo , indispettito , Mannino alcune ore di trasmissione, con la messa in onda delle sue musiche sul Terzo Programma della Rai, il che equivaleva- oltre a una inusitata pubblicità- una cospicua somma di diritti d'autore Siae. I più permalosi sono proprio i direttori d'orchestra: quel podio assomiglia troppo ai balconi di ducesca memoria. E' la Sindrome del Capataz. dux

Con i cantanti è diverso, c'è meno aura sacrale. I cantanti sono come i bambini, si offendono ,sì , ma dura poco e tutto finisce a tarallucci e vino .

Amo troppo l'Opera per vederla umiliata e mortificata, soprattutto nel nostro paese che si picca di essere la “culla” del Melodramma rischiando seriamente, oggi, di trasformarsi  nella  "tomba"  del medesimo.

In Italia esiste da anni una malagestione delle questioni culturali e operistiche in particolare. Per i nostri governanti, siano essi di una parte o dell'altra, l'Opera è un pozzo di San Patrizio , un carrozzone costoso e in perenne deficit, cui è inutile destinare fondi perché sarebbero solo soldi buttati. Come smentire  una  visione  tanto  distorta  ma  purtroppo  realistica? Se è vero che una sana  politica dovrebbe comunque assicurare un solido budget alla Cultura, per un fatto di civiltà (non per altro), è altrettanto vero che non si può promuovere un'azienda che vive e bivacca in rosso, come ormai tutte le Fondazioni e i teatri in Italia. La colpa è ovviamente dei gestori, degli amministratori, che sono i Sovrintendenti e i Direttori artistici. Chi sfora un budget, anche solo in fase di progetto, dovrebbe essere rimosso dal suo incarico per incapacità. Da noi viene promosso, passa a un altro teatro e crea un nuovo deficit. E'  notizia  dell'ultim'ora  che  al  baratro  finanziario  del Carlo Felice  di Genova  si  sono aggiunti, freschi  freschi, altri  10 milioni  di  Euro!!!.  Un altro  teatro  di grande  tradizione , il Comunale  di  Bologna, attende  la  auspicata  fuoriuscita  di  Tutino , a  settembre,  e  l'ingresso  di personalità  capaci  di  restituire  dignità e  prestigio alle  sue  stagioni. Ce lo auguriamo  tutti, siamo a un passo  dal  precipizio.

    baratro

 

 
I GRANDI DIMENTICATI n.2...(segue)
News
Sabato 24 Luglio 2010 14:28

Si  parla  spesso  dei  3  Tenori, un marchio  divenuto  famoso  come  la  Coca  Cola.

Mi piace  qui  ricordare altri  3  Tenori  con la  T  maiuscola, ognuno  grande  nel  suo  repertorio  e  in un arco  di  tempo  che  va  dagli anni  40 alla  fine  degli anni  70 .

Ferruccio Tagliavini, Cesare  Valletti  e  Gianni  Raimondi.

Tagliavini valletti   Gianni_Raimondi

 

Tre  grandissimi artisti  dalle caratteristiche  molto  diverse. Tagliavini  famoso  per la  dolcezza del  timbro  e  per  le  delicate  mezzevoci, spesso e volentieri  compiaciute  nel  comodo  falsettone (derivante  da  una  evidente  imitazione  del  modello  Gigli), ma  allo stesso  tempo  artista  di  temperamento, pronto a  cantare  Nemorino, il Duca  di Mantova , Werther, ma  anche  all'occorrenza  Tosca, Riccardo  nel  Ballo in maschera,  Rodolfo  in Bohème.

Eccolo in un commovente  "Tu  ca nun chiagne" risalente addirittura  al  1986, quando  l'anziano  tenore  venne  invitato  da Renzo  Arbore  a  festeggiare  i  60 anni  della  Radio Italiana.  Si  noti , nonostante  l'età  e  la lunga  carriera  alle  spalle, la  saldezza  della  voce  e  la  famosa  "gola  aperta"  , una tecnica  di  cui  tutti  parlano  ma  che  raramente  si  sa  applicare, sia  da  giovani  che  soprattutto  in fine carriera.

 

 

Cesare  Valletti  ebbe  molte  opere  in comune  con Tagliavini  e, come  lui,  condivise  i  grandi  successi in terra  americana.

Werther, Conte  d'Almaviva, Des  Grieux  nella  "Manon"  di  Massenet,  Elvino  in Sonnambula, Alfredo  in  "Traviata"  furono  senz'altro  i  ruoli  in cui Valletti  fece  valere  i  suoi  grandi  meriti: l'aderenza  stilistica  innanzitutto, la  grande  eleganza  nel  porgere, il  gusto  per  le  nuances.

Ecco  Valletti  con  il  soprano  Roberta  Peters in  una  versione  abbreviata  del  famoso  brindisi  "Libiamo"  dalla  "Traviata"  di  Verdi, eseguito  per  la  Tv  americana  nel  1959.

 

 

La  magnifica  caratterizzazione  di  Nemorino va  assegnata a  Valletti  come  uno  dei  suoi maggiori  risultati: direi  'storici' , dopo  Caruso, Gigli ,Schipa  e  lo  stesso  Tagliavini, prima  dell'avvento  di  Kraus  e Pavarotti.

Si auspica  che   alcuni odierni   Nemorini, prima di  dover  ricorrere  ai  foniatri,  abbiano  la  buona  idea  , ogni  tanto,  di  "ripassare"   queste  utili  lezioni, come  per  esempio  il  duetto   con Belcore  (il baritono Renato  Capecchi) e  , nella  fattispecie,  la  mezzavoce  morbida e  sostenuta  che  Valletti  utilizza  per  le  sue  frasi, rendendole  non solo  espressive ma  anche  tecnicamente a   posto.

 

 

Infine  Gianni  Raimondi, emiliano  come  Tagliavini, certamente  il  più  esteso  dei  tre  e  proprio  per  questo  utilizzato  spesso  in opere  impervie  come "Favorita", "Guglielmo  Tell" ,"Puritani" , persino  "Vespri  siciliani" , "Norma". Nonostante  la  facilità  e lo  squillo  dei  do,  Gianni  Raimondi  fu  uno  schietto  tenore  lirico  , all'italiana. Voce  solare, luminosa, di  bellissima  dizione, di timbro  accattivante  a  metà  strada  tra  Di  Stefano  e  Pavarotti. Il  suo  ruolo  d'elezione  fu  Rodolfo  nella  "Bohème" , memorabile  l'edizione  in film  con la regìa  di  Zeffirelli e la  direzione  di  Herbert  von Karajan.

 

I  famosi  acuti  di  Raimondi  possono  essere apprezzati  anche  in  questo  spezzone  di una  "Tosca"  realizzata  a  Genova  nel  1965, con Marcella  Pobbe  Cornell McNeil.

 

Quando si  canta bene, cioé  con la tecnica  giusta, si  canta  bene  sempre!  A  dimostrazione  di  ciò, ecco  Gianni  Raimondi nel  1980  all'Opera  di  Roma, in occasione  del  Galà  per  il  Centenario  del  Teatro.


 
I GRANDI DIMENTICATI...n.1 (segue)
Note
Sabato 24 Luglio 2010 08:37

La  memoria  corta   è  un brutto  difetto , accentuato da  una  società veloce  e  tritatutto  come  quella  attuale. Si  tende  nell'Opera  a  mitizzare  facilmente, ispirandosi  soprattutto  alle  figure  imperanti  sulle  copertine  dei  dischi  o  visibili  in Tv, che  non  sono  necessariamente eccelse  come  vorrebbero  farci credere.  E'  così  da  quando  è  nato  il melodramma: la  pubblicità  è  l'anima  del  commercio  delle  voci. Certo, nel  mucchio  si  distinguono  miti  veri,  interpreti  eccezionali  cooptati  dalle case  discografiche, ma  quanti  artisti  vengono  poi  dimenticati?

In fondo, siamo  sinceri:  se  una  Callas  non avesse  avuto  il  gossip  addosso....sarebbe  poi  diventata  così  famosa?

Un  tenore  come  Del  Monaco, grazie  alle  apparizioni  televisive, sopravvive  nel  ricordo  di  molte  persone che  non hanno mai  messo  piede  in teatro. Così  anche  oggi, Andrea  Bocelli  è  un  mito   per  una  enorme  quantità  di  persone, perché  ha  cantato in mondovisione, davanti al  Papa, davanti  ai  potenti  della  Terra.  Ma  chi  si  ricorda  più  di Gianni  Poggi? Eppure  questo  tenore  piacentino  ebbe  negli  anni  Cinquanta  del  Novecento  una  notevolissima  fama, nonostante  l'agone  fosse  ricchissimo  di  nomi  illustri, infinitamente  più  di  oggi.

Poggi ebbe  una  voce  formidabile, pastosa, ricca  di armonici, duttile, estesa  e  cantò  ai massimi  livelli  con i  più  grandi  direttori  e  colleghi  della  sua  doviziosa  epoca. Il  colore  ricordava  molto  quello  di  Beniamino  Gigli  e  così  le  delicate  mezzevoci. Eccolo  con un altro  fenomeno  vocale, il basso  Giulio  Neri, nel  finale  del  "Mefistofele"  di  Boito.


 

 

Un altro  interprete  da  non  dimenticare è  il  baritono  Mario  Sereni. Riascoltandolo  in  questi  giorni  mi  sono  reso  conto  di  quanto  sia  vera  la  questione  delle  "vacche  grasse"   di allora, contrapposte  alle  "vacche  magre"  di  oggi. Sereni  cantò  ad  altissimi  livelli  negli  anni  Sessanta  e  si  palesò  come  una  sorta  di  erede  di  Ettore  Bastianini, prematuramente scomparso. Del  grande  e  più  famoso  collega  Sereni ricorda  il  colore, brunito  e caldo, ma  la  tecnica  è  persino  più agguerrita, con una omogeneità  straordinaria  e  la  capacità  di fraseggiare  con nobiltà  e  morbidezza.  Non  me la  sento  di  contrapporre  il canto  misurato e  intenso  di  Sereni  a  certi  colleghi  di  oggi, anche  conclamati, perché  dovrei  risultare  molto  ingeneroso  e  acido. Ogni  epoca  ha  i  suoi  divi, mi si  risponderà,  e  sono  d'accordo. Ma  io aggiungerei  che  ogni  epoca  ha  le  sue  "tecniche"  di  canto  e  i  suoi modelli  da  seguire: direi  pure  che  ogni  epoca  ha  i  cantanti....che  si  merita.

Sentite  che  bellezza  di  canto  ritroviamo  in  questa  "Lucia  di Lammermoor"  con  Anna  Moffo. Il  ruolo  di  Enrico  Ashton  fu  uno  dei  preferiti  da  Sereni,  sul  podio  Georges  Pretre.

 

 

....e  ancora   questo  filmato  realizzato  in America , con la  grande  Dorothy  Kirsten nella  "Fanciulla  del  West"  di  Puccini,  dove  si  può  apprezzare  in Sereni  anche  la  perfetta  dizione....

 

Per  chiudere  in bellezza  ecco  ora  il  più  grande  buffo del  secolo  scorso, Salvatore  Baccaloni. E'  più  difficile  far  ridere  che far  piangere, nel  teatro  di  prosa  come  nell'opera.  Baccaloni, oltre  a  saper  far  ridere  di  gusto  in opere  comiche  come "Barbiere",  "Elisir", "Don Pasquale"  (qualcuno, in tempi  più  recenti, ha  voluto  farci  credere  che  tali  opere  siano  in realtà  dei  funerali  di  terza  classe!) ,  ha  sfoggiato  una  vocalità  sontuosa, "grassa" , da  vero  basso. Non a  caso, nei  primi anni  di  carriera, cantò  e  benissimo  anche  i ruoli  da  basso  e  da  basso  profondo.

La  verve  innata,  la mimica, l'irresistibile  simpatia  da romano  verace  indirizzarono  Baccaloni   verso  il  repertorio  comico, ed  è  lì  che  assunse  fama  internazionale.

Eccolo  nel  film  "Merry  Andrew" del  1958  dove  canta   il  divertentissimo  "Salud" , una  sorta  di  tarantella  made  in  Italy  in coppia  con uno scatenato  Danny  Kaye.  Notare  il  balletto, un vero  capolavoro  in sé, e la  somiglianza  impressionante  con Maurizio  Costanzo!!!


 


Pagina 90 di 110