Genova: Carlo Felice sull'orlo del baratro
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Martedì 27 Luglio 2010 13:11

Leggiamo  oggi  su  "Repubblica" , edizione  di  Genova:


Mancano i soldi per gli stipendi
Il sovrintendente: "Situazione drammatica"

Carlo Felice, l'ombra della cassa integrazione. Servono undici milioni subito per non chiudere. Aggiornato a sabato il consiglio di amministrazione

di MICHELA BOMPANI

Al teatro Carlo Felice manca la liquidità. Undici milioni di euro per pagare stipendi, contributi, allestimenti, elettricità fino alla fine dell'anno. E intanto la Fondazione ha fatto slittare ad agosto il pagamento degli stipendi di luglio dei dipendenti.

Nella ricerca di una "exit strategy" dalla "drammatica situazione in cui versa la Fondazione", come la definisce lo stesso sovrintendente Giovanni Pacor, spunta l'ipotesi della cassa integrazione in deroga.
La riunione di ieri del consiglio d'amministrazione della Fondazione Carlo Felice si è conclusa con la decisione di riunirsi ancora, sabato mattina. Solo allora infatti arriveranno al nono piano i responsabili della Deloitte, la società che sta esaminando tutti i conti del teatro e producendo proposte di soluzione. Ieri è stata presentata la relazione dei Revisori dei Conti, che ha illustrato una situazione davvero drammatica. Il deficit finanziario e il deficit patrimoniale si stanno sovrapponendo, entrambi intorno ai 13,5 milioni di euro, insomma le alternative per chi in teatro è esperto di conti sono due: o si trovano finanziamenti privati in fretta oppure si portano i libri in Tribunale.

Anche se l'"ora delle decisioni irrevocabili" sarà segnata dalla relazione della Deloitte, già ieri all'orizzonte si è profilata una drastica soluzione per i conti del teatro: la Regione potrebbe concedere la cassa integrazione in deroga, così come fa con le aziende che non hanno diritto a quella ordinaria, proprio come nel caso della Fondazione Teatro Carlo Felice. Un'opzione percorribile ma pesante sotto il profilo delle conseguenze: darebbe ossigeno al teatro, ma dovrebbe avere applicazione immediata, per limitare le ripercussioni sulla "produttività" del teatro, nei mesi più densi dell'inizio stagione, in autunno.

Una stagione appesa a un filo, come conferma il sovrintendente Giovanni Pacor: "Aspetto di ascoltare la relazione Deloitte, poi capiremo quali decisioni potremo o non potremo prendere. Oltre alla relazione dei Revisori dei Conti, molto accurata, quella Deloitte include suggerimenti di soluzioni. Solo dopo sabato sapremo se si potrà svolgere oppure no la stagione lirica da ottobre a dicembre".

Gli esperti di bilancio indicano il pericolo che di certo deriverebbe dalla soppressione delle tre opere d'autunno ("Barbiere di Siviglia", "Traviata" e "Opera da tre soldi"): certo si risparmierebbero denari, ma si dovrebbero risarcire gli abbonati, si dovrebbero fare i conti con i mancati ricavi e soprattutto si perderebbero i contributi statali legati al numero di "recite": così, chi lavora con i numeri, calcola che il rapporto costi-benefici indicherebbe più saggio mantenere quest'ultima parte della stagione lirica in teatro. In più, e non quantificabile, ci sarebbe il colpo definitivo al ruolo del teatro in città, in termini di disaffezione del pubblico.
Sotto il torrione, il primo problema, quello più urgente, è composto da quegli undici milioni di euro di liquidità che mancano. Anche negli anni passati si erano verificate situazioni analoghe e quei soldi si chiedevano alle banche. Adesso però la Fondazione non ha sufficienti garanzie, e dovrebbe trovare qualcuno che garantisse per lui. Ma chi?

Anche la partita sulla nomina del direttore artistico è stata rimandata, anzi, ieri, neppure affrontata dal consiglio di amministrazione. Un elemento in più per capire che in gioco c'è la sopravvivenza del teatro a partire dai conti. "Non mi sono pentito di aver accettato questo incarico - dice Pacor - io mi sono messo al servizio: adesso ce la mettiamo tutta per riuscire a vincere la sfida. Innanzitutto serve una strada sicura che ci porti fuori da questa drammatica situazione".

(27 luglio 2010)

 

Commento di  Enrico Stinchelli: 

C'è  assai  poco  da  dire, in realtà. E'  già  tutto  detto  nell'articolo  che  suona  come  un Requiem, annunciato  e  ampiamente  previsto.

Si invoca  l'intervento  dei  privati, per  di  più  in un momento  di  crisi. Mi  auguro  che  questi mecenati  spuntino  fuori  dal  cilindro ma  intanto  mi  domando:

1. Da  quanto  si  trascinava la  questione  degli  11 milioni  di  Euro in rosso??? Dov'erano  finiti  mesi  or  sono e  perché  appaiono adesso  come la  Fée Carabosse  delle  Fiabe?

2. Perché  nell'ottobre  2009  venne  rimosso  dal suo incarico  il  direttore  artistico  Cristina  Ferrari, che stava  svolgendo  con  grande  impegno  e  dedizione  un'opera  di  risanamento e di  risparmio? Cosa  si  è  fatto  e  ottenuto  nel  frattempo, se  non altre  lacrime e  sangue?

3. Con  quale  faccia  il  Sindaco  di una città  come  Genova  potrà  annunciare  la  chiusura  della  stagione  lirica  per  indebitamento  cronico  e  irrimediabile?

4.  Ci  saranno  o  no  dei responsabili  per  tale  dissesto  finanziario, per  bilanci  tanto  sorprendenti  (in senso  negativo)?

Ecco  cosa  succede  a  fare  come le  3  scimmie: non vedo, non sento  e  non parlo.  Salvo  poi  lamentarsi  dei  tagli  ministeriali. Ma  quale  Ministero, che  non sia  un Istituto  di Beneficenza, potrebbe  mai andare a  risanare  simili  buchi  neri?

E'  una vera  vergogna  e  sono  dispiaciuto  per  i genovesi, che adorano  l'Opera  per lunga e gloriosa  tradizione,  e  per  ci lavora onestamente  e con dedizione  presso il Carlo  Felice.

 
L'UOMO, LA MASCHERA
Note
Lunedì 26 Luglio 2010 15:00

                       lezione_di_canto         lezioni__2

Chi normalmente  frequenta  il  teatro  d'Opera  o chi  semplicemente  ascolta  dischi  di  musica  operistica  avrà  notato, oggi,  una certa  confusione  per  quanto  riguarda  i  parametri  canori classici. Baritoni  che  cantano  da  tenore,  tenori  che  cantano  da  baritono, bassi  che  sembrano  tenori,  soprani  corti  che  cantano  da  mezzosoprano, mezzosoprani  che  vogliono a tutti  costi  cantare da  soprano  drammatico, voci  ibride che  non  sapresti  a  quale  categoria  assegnare e  che  pure  cantano  "Norma"  con apparente disinvoltura. Tale  babelica  confusione  trae  origine, per  me, dalle  conseguenze a  vasto  raggio  del  cosiddetto  "villaggio  globale" . La  globalizzazione è  appunto  un  grande  minestrone  in cui  tutto  si  mescola  perché  tutto  è  ,in fondo, uguale. Lodevole  idea  per  quanto  riguarda  le razze, i  popoli  e l'iniqua piaga  della  xenofobìa, che tutti condanniamo. Ma  nel  Canto e  nell'Opera  la  globalizzazione è  quanto  di  più  pernicioso  e, di fatto, impossibile  possa  essere  concepito. Le  categorie  vocali nascono  per  precise esigenze  stilistiche, vocali, drammaturgiche  e  un tenore  resta  un tenore, così  come  un baritono, un basso, un soprano  e  un mezzosoprano  sono  tali  perché  obbediscono  a  canoni  e regole  precise.

                  barbiere

Si  nasce  con una  voce che  è  quella ,  per  evidenti  caratteristiche  fisiche  : il  timbro, il  colore della  voce, è  appunto  determinato  da  parametri  molto personali, dalla  lunghezza o larghezza  delle  corde  vocali  per  esempio, dalla conformazione dell'apparato  laringeo,  da  tanti  fattori  che  non starò  qui ad enumerare  e  che  ognuno  potrà  verificare  sui  propri  'motori  di  ricerca'.

Quello  che  ora  vorrei  porre  in risalto  è  invece  il  prolificare, in  questa  confusione, dei  cosiddetti  cantanti  "ingolati" ,  cioé  di  quegli  artisti  (anche bravissimi, per  carità)  che  invece  di  usare  le  cavità  di  risonanza  alte  (la  cosiddetta maschera) , usano  la  falsa  cavità  e  cioé la gola.

Non  si  usa  la  gola  per  gioco, per  pigrizia  o  per  comodità  ma  per  difetto  di  impostazione, per  studio  iniziale  non  corretto. La  gola  conferisce  alla  voce  un colore  apparentemente  più  scuro, più  rotondo, in certi  casi  (le  cosiddette  "gole d'oro"  o   "gole  di  ferro") anche  più  bello  rispetto a  una  voce  "in maschera".

          maschera

Il  canto “in maschera”  è  in effetti un vero  e  proprio  totem. Si  intende :la posizione del suono nelle giuste cavità di risonanza, che sono per tutti quelle del volto (fronte, zigomi, palato, naso…). La “maschera” aiuta ovviamente a proiettare la voce il più distante possibile: gli antichi attori delle tragedie greche, all’aperto, usavano appunto delle maschere teatrali per ampliare la voce, come dei megafoni.

               maschera_2

Perché  è  bene  cantare  in maschera?

L’uso sapiente di queste risonanze aiuta soprattutto a non stancarsi. Molti cantanti fanno splendide carriere con un buon numero di difetti d’emissione (pensiamo a nomi mitici come Tito Gobbi, evidentemente ingolato sugli acuti  ma incredibilmente  espressivo  ed emozionante come  si  evince  da  questo  ascolto  tratto  dal  "Macbeth"  di  Verdi.

 

Un  orecchio  attento  e  mediamente  esperto  avrà  colto  la   gola  chiusa ogni  volta  che  la  voce  di  Gobbi  deve  salire  oltre  il  re, fino  a  un  quasi  impossibile fa diesis  acuto  e  a una  chiusa  (sa-rà) in cui si  percepisce  benissimo  il  "raschiare"  tipico  di chi  usa  la  gola. Ma  ciononostante  Gobbi  è  Macbeth, forse  più  di  chiunque  altri, per  l'espressione, l'abbandono, il senso  del  dramma. Un  tipico  (e  non raro)  caso  di  cantante  ingolato  ma....eccelso.

Un caso  diverso  è  quello del  cantante prettamente "nasale" ,cioè colui che sfrutta le risonanze alte e precipue di quella parte della maschera. Questo  tipo  di  cantante  avrà la tendenza a schiacciare i suoni , magari anche a rendere qualcuno petulante, da “bambino cattivo” (soprattutto sulla vocale “e” e “i” in zona acuta), ma che terrà preservata la gola da sforzi e pressioni più di un cantante che sfrutta la cosiddetta “falsa cavità” (che  è, come  si  è  detto, la gola, il canto laringeo), destinato a un declino prematuro e a una limitazione notevole nel repertorio. Con questo non si vuole certo lodare l’emissione nel o con il naso, che può risultare spesso molto sgradevole.

 

Nel  Brindisi  testé  ascoltato, con Giuseppe Sabbatini, Vincenzo  La  Scola  e  Neil  Shicoff (2006) si  potrà  notare  benissimo  la  differenza  sostanziale  tra  una  emissione  "nasale" (Sabbatini) e  una  più   ortodossa  (La  Scola) , che  sfrutta  cioé una  cavità  meno  ristretta.

Domingo, citato  prima,  ha  saputo  usare  a  meraviglia le  risonanze rinofaringee, tanto da riuscire  a cantare  per  oltre  50  anni  un  repertorio smisurato, non solo  da  tenore  ...ora anche da baritono. Il  suo  è  un caso a  parte: non già  una  "gola  d'oro"  (anche  quella, poiché  il  colore  di  Domingo  e la  sua resistenza  sono  eccezionali) ma  direi  piuttosto  un  "naso  d'oro" , visto  che  in  quel  beato  anfratto  si  cela  il  segreto, il  Santo  Graal del tenore  madrileno.In possesso  di  un  la  bemolle   ottimo, di  un la  ancora  squillante  e  di  un  laborioso  si  bemolle, Domingo  riesce  tuttavia  a  salvarsi  (per  il  rotto  della  cuffia)  persino  in una  terribile  aria  come  "Celeste  Aida", in cui la  tessitura  è  davvero  improba.

 


Aureliano Pertile , sommo “tecnico” della vocalità, consigliava di trovare immediatamente il punto di risonanza della propria voce (il “focus” vocale, per l’appunto), cioè quel magico “buco” dove infilare tutti i suoni, uno dentro l’altro o uno dietro l’altro. Anche qui, come per la respirazione, una pletora di sensazioni e di teorie. La Nilsson mi disse che il suo punto focale era collocato tra gli occhi; il soprano Margherita Rinaldi, rinomata docente, parla di un suono al centro del palato duro; la Dimitrova diceva che i suoni si spostavano, i più gravi erano sul palato dietro agli incisivi, poi man mano che si saliva verso acuti e sopracuti, ci si spostava prima al centro del palato poi dietro, verso il  centro  della  testa.

 

                     canto_tecnica         

     


Kraus insisteva sull’utilità degli zigomi, per “tirare” su la voce verso la maschera, e utilizzava “il sorriso” per gli estremi acuti; così anche il grande Nicolai Gedda.

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Molto dipende dalla fisionomia di ogni cantante: chi ha il volto rotondo e la bocca piccola non potrà mai atteggiarsi come chi ha un volto allungato o un nasone prominente con la bocca larga. Contano le risonanze interne, caso mai, cioè la gola aperta .

Mi ha sempre molto colpito un precetto esposto ossessivamente da Luciano Pavarotti:” Per cantar bene e giusto la voce deve essere sempre alta, piccola e raccolta.”  E'  esattamente  così  che  Pavarotti  ha  cantato  tutta  la  sua  vita, giungendo  anziano  a  una  invidiabile freschezza  timbrica  e  ampliando  via  via  il  proprio  repertorio.Nel  1996, a  35 anni  dal  debutto,  cantò  in modo  esemplare  (tecnicamente  parlando...sullo  stile  si  può  eccepire) "Andrea  Chénier".

 


A ben vedere è la regola di moltissime voci illustri: da Schipa a Valletti, da Bidù Sayao a Bjoerling, da Fleta a Pertile, da Gigli a …Pavarotti.

Stavo  guardando  con attenzione  un video  di  Mario  Sereni  (immenso baritono) due  giorni  fa: sui  sol  acuti  la  bocca  non si  spostava  d'un millimetro, rispetto ai  centri  poiché  l'apertura era  tutta  interna.Il  documento  in questione  è  alquanto precario: una recita all'aperto, nel 1980, con una  straordinaria  Mariella  Devìa  (altra  maestra  assoluta  di  tecnica).


Lo  stesso  faceva  Aldo  Protti, mentre  nel  faccione  tutto  occhi  e  zigomi  della  Callas (altra  super-tecnica) si  nota  benissimo  il  sistema  del  'sorriso'.


Tradotto in termini più accessibili  : posizione del suono alta (in maschera), suono piccolo (al proprio orecchio “interno”, ma che diventa grande per chi ascolta da fuori: un altro paradosso del canto) e raccolto (altro termine facile da equivocare: è un suono leggermente scuro, arrotondato, che poggia soltanto sul fiato). Un esercizio molto utile per proiettare la voce in maschera è quello di alzare le arcate sopraccigliari mentre  si sale agli acuti: raramente chi aggrotta le ciglia salendo, usa correttamente la maschera.Un  esempio preclaro  in  questo  senso  è  dato  dalla fenomenale  Joan Sutherland, qui  nei  "Masnadieri"  di  Verdi, parte  scritta  per  l'usignolo svedese  Jenny  Lind.


Da controllare anche con uno specchio il movimento dei muscoli facciali, collocati all'altezza degli zigomi: se lavorano e si sviluppano....buon segno.Chi canta bene di solito ha questi muscoli molto sviluppati.Chi canta male tende invece ad avere sviluppata la falsa cavità, cioé la pappagorgia. Si  osservi  bene  anche  la  lingua: se  salendo  verso  gli  acuti  tende  a  salire o  a  sollevarsi  come  un materassino  gonfiabile...brutto  segno...vuol  dire  che  la  gola  sta  entrando  in gioco.

Vi  sono  molti  cantanti  attuali  che  cantano  usando  più  la  gola  che la  maschera: la  Netrebko, per  esempio,  un colore  stupendo ma , com'è  tipico  di certa  scuola  russa,  molta  gola. Kaufmann, il  superdivo  del  momento,  usa  moltissimo  la  gola   intesa  come  falsa  cavità, tuttavia  riesce  a  risolvere  la  zona  acuta  grazie  a  un uso molto  buono del  fiato.


Rolando  Villazon, dopo  una  serie  di  operazioni  foniatriche  ha  dovuto  interrompere  la  carriera, in giovane  età. Gli auguriamo, ovviamente, di  riprenderla magari  con una tecnica  più  accorta e  meno legata  all'imitazione  (errata)  di  Domingo.La  Dessay, strepitosa  artista , ha  subìto parimenti  varie  operazioni, proprio  per  l'abuso  di  note  (soprattutto  sopracute) emesse  in modo  non  proprio  ortodosso, seppur  spettacolare. Di  solito  i  problemi  iniziano  dopo  il  35mo   anno  di  età,  quando  la  fibra  non  più  freschissima  non  può  più   sopperire  ai  problemi di  ordine  tecnico.

 
UN POLLO SPENNATO VOLA SU BAYREUTH
Recensioni
Domenica 25 Luglio 2010 21:16

     cigno_lohengrin

E' appena terminato il “Lohengrin” di Wagner, spettacolo inaugurale del

Festival di Bayreuth, trasmesso dalla radio tedesca e da altre stazioni

collegate. Salve di sonorissimi “buuh!” hanno accompagnato l'uscita del

regista Hans Neuenfels , praticamente tutto il pubblico che invadeva la

Sacra Collina ha mostrato pollice verso. I soliti retrogradi? Nemici

dell'avanguardia? Beh....diciamo che ci vuole assai poco a contestare una

regìa di Neuenfels, anzi... è esattamente quello che lui desidera alla fine di

una Prima: essere fischiato. Dopo la razione canonica di contestazioni,

Neuenfels può brindare con la cricca dei critici musicali tedeschi, che lo

sostengono a spada tratta, e con gli organizzatori del Festival. Il nipote di

Wagner ha fatto in tempo a morire, pochi mesi fa.

   lohengrin_2

Non si pretendono certo cigni di cartapesta e grassi tenori con elmo e

corazza, ma anche Ortrud conciata come Raffaella Carrà e Lohengrin con la

solita camicia buona per tutte le opere (Carmen, Traviata, Fidelio, ec.ec.)

con un pollo in mano....ce ne corre, da un estremo all'altro del ridicolo. A

scorrere soltanto la gallerìa fotografica di questo spettacolo c'è da

rabbrividire: topi appesi sul soffitto, polli volanti, il solito pavimento lucido che

fa pensare all'ennesimo allestimento tra il macabro e il noioso, fritto e rifritto

da 30 anni, costumi squallidi.

 

La parte vocale ha presentato un Jonas Kaufmann   in veste di Heldentenor

wagneriano (vero è che la parte di Lohengrin è stata retaggio di tenori

schiettamente lirici, se non addirittura lirici leggeri...penso ad Araiza, tanto

per citarne uno) . Kaufmann  possiede  una  straordinaria musicalità  e sale

bene agli acuti, peccato qualche mezzavoce  troppo stimbrata.

 

 

   lohengrin_4

 

Il settore femminile era capitanato da una Annette Dash come Elsa, la quale,

in omaggio al celebre detersivo evocato dal suo cognome, presentava un

colore di voce bianco “che più bianco non si può”. Una Elsa tanto leggera da

sembrare uscita da un'opera di Mozart e non certo dal lirismo denso e a tratti

fortemente  drammatico di Wagner.

 

Ortrud è stata Evelyn Herlitzius, un vero strazio tra note gridate e rantoli in

un registro grave  inesistente: un soprano camuffato da mezzosoprano non

si sa in virtù di quali doti misteriose.

 

Peggio ancora il Telramund del baritono Hans Joachim Ketelsen, ridotto a

una serie ininterrotta di suoni fissi, urlati , privo di ogni autorevolezza e

dignità vocale: si pensi a un anziano tenore comprimario più che a un vero

baritono.

 

Decisamente meglio il basso (baritono?!) Georg Zeppenfeld come Re

Heinrich, camuffato  però  in modo  francamente  grottesco. 

lohengrin_3

 

Vorrei soprassedere sul resto del cast e soprattutto sul direttore, Andris

Nelsons, che è apparso del tutto estraneo all'opera che si è ritrovato a

dirigere: fanfare al limite del villereccio, svarioni imbarazzanti, scrocchi,

stonature, bataclan terribili. Da dimenticare e in fretta, se  non  fosse  per 

un'unica  eccezione: il  Coro, preciso, intonato, autorevole.

 

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LARGO AL MAESTRO!
Note
Domenica 25 Luglio 2010 08:23

 hvkarajan1

Il Direttore d'orchestra, meglio identificabile come "maestro concertatore e direttore d'orchestra", può essere considerato il baricentro dello spettacolo d'opera. Per molti ignari  è una specie di vigile urbano o di tergicristallo, un signore che si agita su un podio, non si sa bene perché; in effetti ogni maestro che si rispetti è un pò schizzato, nevrotico, ma deve celare con abilità le sue ansie per infondere tranquillità e sicurezza al cast, agli orchestrali, ai responsabili del Teatro e al pubblico. Sul fatto che sia determinante per la riuscita dello spettacolo non vi sono dubbi: è lui il supremo garante della partitura, il depositario del sacro volere dell'Autore, colui che conosce ogni nota ogni indicazione e qualunque trabocchetto. E' il Maestro (con la maiuscola, mi raccomando) che deve completare in ogni suo tassello e nel miglior modo possibile questo intricatissimo puzzle. direttore_dorchestra

Avete mai osservato con attenzione gli occhi dei cantanti? Verso chi sono puntati? In certe recite zoppicanti, messe in piedi con scarse o nulle prove, gli interpreti sono impalati e praticamente ipnotizzati, lo sguardo fisso sulla bacchetta che generosamente distribuisce attacchi, scansioni ritmiche, blocca intemperanze, riprende catastrofiche uscite, ricuce concertati o assiemi pasticciati. I cantanti con più esperienza e , in genere, quelli bravi non hanno bisogno di fissare il Maestro, ma anche loro sanno che quello è il loro punto di riferimento, dalla prima all'ultima nota; così qualche sbirciatina, magari con la coda dell'occhio, al dunque la lanciano anche Domingo o la Freni.             Domingo528

Il Maestro Concertatore si presenta quindi in varie maniere: c'è l'austero e nobile intellettuale (Gianandrea Gavazzeni, Vittorio Gui), il sacerdote officiante, quasi un Papa (Carlo Maria Giulini, Karl Boehm, Otto Klemperer), l'imprevedibile (Furtwaengler), il raffinato (Prétre), l'estroverso (Bernstein, Oren), l'ipersensibile (Abbado), il filosofo (Sinopoli), il santone (Menuhin), il mago (Celibidache), l'estroso (Guarnieri, Ozawa), il geniale (Karajan, Kleiber, De  Sabata), il pazzoide (Harnoncourt), il padrino (Mannino), il venale (Maazel), il dittatore (Toscanini,Muti), il bonaccione (Serafin, Bruno Walter),il domatore  (Oren), il preciso (Markevitch, Fricsay, Baremboim), l'esperto (Patané,Guadagno, Sawallisch, Mehta). C'è  anche  il raccomandato, ma  qui non faccio  nomi!misterx

Tutti hanno in comune la diffidenza verso la ben nota ignoranza dei cantanti e sono rimasti celebri alcuni battibecchi. Guarnieri , grandissimo maestro veneto, mandava spesso e volentieri a quel paese chi non gli andava a genio, quasi sempre per motivi musicali; una volta, a un tenore che stonava parecchio nel duetto "Parigi o cara" (Traviata) disse di spostarsi rispetto al soprano, e tanto lo fece spostare da mandarlo dietro le quinte: " Maestro! Ma sono fuori scena!" protestò il tenore, e Guarnieri :"Bravo! Quello è il posto tuo!".

Quando si presenta il tipico direttore d'orchestra nei cartoni animati, nelle pubblicità o nei fumetti lo si vede magro, ispirato, scapigliato (possibilmente con ciuffo aerodinamico ), occhio socchiuso, più o meno la caricatura di un Karajan karajan o di un Muti, quest'ultimo famoso per la frase rivolta agli orchestrali:" Dove arrivo arrivo, altrimenti ci arriva il ciuffo!". Le movenze sono indiscutibilmente isteriche, eccezion fatta per i maestri olimpici, sospesi su nuvole altissime, inaccessibili.

L'uomo comune si chiede se sia effettivamente necessario quel signore così agitato; la risposta è : sì. Se la recita o il concerto concedono qualcosa (o molto ,a seconda dei casi) alla coreografia, con dovizia di salti, grugniti, ciuffi svolazzanti e bacchette roteanti, è vero però che durante le prove il maestro concertatore costruisce tutto, dalla prima all'ultima nota. E' lui a stabilire i tempi, cioé la scansione ritmica delle pagine musicali; le dinamiche e le agogiche delle frasi, valori come il "legato", i "pianissimi" o i "fortissimi" , il rispetto delle "forcelle", i "diminuendi" o i "crescendi". E' il maestro a conferire anche la cifra stilistica di una partitura: come si deve variare un'aria belcantistica, l'inserimento di cadenze e puntature (salite agli acuti), il valore di una "corona" (che può essere una nota più lunga ma anche, e soprattutto nel Belcanto,una cadenza o una variazione).

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Il maestro deve anche tenere a bada tutti, dal sindacalista dell'orchestra al corista intemperante, dalla primadonna ritardataria al tenore capriccioso, dal sovrintendente ignorante all'agente mafioso. Mica male per un cachet solo: lo stress è all'ordine del giorno. Non è quindi un caso che i maestri abbiano spesso i nervi a pezzi e che cerchino varie soluzioni per darsi la carica (ne conosco alcuni che fanno uso di stupefacenti, alcol e altri "rimedi" similari). Una caratteristica che ho frequentemente ritrovato in molti maestri è l'amore per la velocità, che li porta ad appassionarsi a macchine sportive, motociclette, aerei, motoscafi.

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Direttori d'orchestra si nasce ma in tantissimi casi si diventa. Alcuni tra i più famosi maestri vengono infatti dallo studio e dalla pratica di uno strumento, sostituito poi dalla bacchetta. Così dal pianoforte derivarono Daniel Barenboim, Georg Szell, Lukas Foss, André Previn,Vladimir Ashkenazy, James Levine; dal violoncello Arturo Toscanini, Mstislav Rostropovich, Alfred Wallenstein,Pablo Casals; dal violino Charles Dutoit, Neville Marriner, Lorin Maazel; dalla viola Carlo Maria Giulini,Hermann Scherchen; dal contrabbasso Serge Koussevitsky; dall'organo Leopold Stokowsky.

Alcuni  derivano  invece  dal  canto, ma  è  un caso abbastanza  raro. Ne  abbiamo  due  classici  esempi  in José  Cura  ma  in modo  più  significativo  in Placido  Domingo.

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