Note
CROSSOVER ,CROCE e\o DELIZIA?
Sabato 17 Luglio 2010 11:11

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E'  un pò  di anni  che  il  termine  crossover è  entrato nel  nostro gergo  familiare. In ambito musicale, crossover viene  usato per descrivere materiale preso in prestito da più generi  diversi,  la cui popolarità supera i confini convenzionali della musica e dei suoi stili. E'  la  commistione  dei generi, la contaminazione...già  questo  dovrebbe  metterci  in guardia poiché quando si parla  di contaminazione  si  parla  di virus, microbi, germi  nocivi, veleni.

Finché  si  resta  nell'ambito  della musica  pop, del  rock, dell'heavy metal, di generi  cioé  che si nutrono di contaminazioni  e  che  , tutto sommato, vivono  di  influenze  esterne, di provocazioni, di situazioni  "estreme"...poco  male.

Il guaio  è  quando  ai  compromessi  della commistione di  generi  deve  scendere la musica  "colta" , che sia classica  o  operistica  (il  cosiddetto  operatic  pop).

Secondo  un  assunto  molto  discutibile  per  il  quale  "la musica colta  va  portata alla gente"  ,  e  non il contrario  (come  in realtà  dovrebbe accadere  e  accade  per le  anime  più  sensibili), il crossover  riduce  e  confeziona  un brano  musicale  secondo  stilemi  e versioni  più  fruibili, più  'facili' ,  più  immediatamente recepibili  da  una  non ben identificata  massa, giudicata  a  priori  bruta, rozza,amorfa.

La  musica da  camera  e sinfonica  è  stata  la  prima  a subìre  varie  trasmutazioni  crossover: pensiamo al  celebre  Canone in Re maggiore di Johann Pachelbel, il secondo movimento del Concerto per pianoforte e orchestra n. 21  K 467 di Wolfgang Amadeus Mozart inserito nella colonna sonora  del film  Elvira Madigan (1967). Potremmo elencare    altri  40-50  brani famosissimi, usati  per   film,  sigle, pubblicità. Non si  può  certo  dire  che le  versioni  'modernizzate'  di  tali  brani  siano  più  belle e piacevoli  rispetto  agli  originali. Diciamo  che suonano  più  "facili".

Con l'Opera , soprattutto  dopo  l'avvento  del  disco, le cose  procedettero  di pari  passo. Già  Caruso  iniziò a spaziare  dal  genere  operistico alla  canzonetta, inserendo  nei  propri cataloghi  brani  molto  lontani  dalle armonìe ricercate degli  autori  classici. Così  anche  e  più di Caruso  , Beniamino  Gigli  che, forte  del  mezzo cinematografico, assunse  il  ruolo  di  "Cantore  del  Popolo"  e  dalla  Manon Lescaut  o  dal  Lohengrin, passò  tranquillamente  alla  canzonetta, come l'inno  campestre   "Se  vuoi  goder  la  vita"   inserito  nel  film  "Mamma", con la  leggendaria  Emma Gramatica assisa  al  pianoforte  e  un Coro  incredibile di  contadini , più  intonati  dei  professori  della  Scala!

 

 

Dopo  Gigli  tutti  i  tenori  vollero  passare  il  guado, nessuno  escluso. Un divo  assoluto  come  Mario  Del  Monaco  non poté  sottrarsi alla tentazione  del  crossover  e, attirato  dalle  lusinghe  della  Televisione  (nuovo  giocattolo  destinato a  soppiantare  il cinema) si divertì a  trasformare la  sigletta di Raffaella  Carrà in un'aria degna  di  Otello  o  Mario  Cavaradossi...

 

 

Passano altri  20  anni  da  quel lontanissimo  1970, e  presso le Terme  di  Caracalla  si  celebra un evento  destinato a  segnare  lo  spartiacque  tra  l'Opera  e l'Operatic  pop : il  Concerto  dei  Tre  Tenori. Nato  per  celebrare  il ritorno  di  Carreras  sulle scene  liriche, dopo  la  drammatica  malattìa che stava  per costargli  la  vita,  l'incontro  tra  Placido  Domingo, Luciano  Pavarotti  e  lo  stesso  Carreras  finì  per  diventare  un fenomeno mass-mediatico  e  discografico  senza  precedenti. Dopo  le  arie  d'Opera, regolarmente  cantate  dai  tre  artisti, il  medley  conclusivo a  suon  di  canzoni e canzonette   ruppe  il  diaframma  tra  pubblico  pop  e  puristi  del  melodramma: i  Tre Tenori valicarono  così  i  propri naturali  confini, per  entrare  nelle  case  di  tutti, a  costo  di  sembrare  anche  un pò  goffi  e  un pò  buffi.

 

 

Fu  soprattutto  Luciano  Pavarotti a  trarre  i  maggiori  benefici  (anche  economici)  dall'operazione  Tre  Tenori, avendo  egli  un  contratto  speciale  di  royalties  con la  Decca,  produttrice del  disco  e  del  dvd. Compresa  l'importanza  dell'operazione, Big  Luciano  si  gettò a  capofitto  nel  crossover  e  inventò, per  conto  suo, il  "Pavarotti  International"  meglio noto come  "Pavarotti  &  Friends" , laddove i  "friends" non  erano  più  Domingo  e  Carreras, bensì Lucio  Dalla, Sting, Elisa, Ligabue, Bono, persino  Michael  Jackson  e Grace  Jones. I  quali,  a onor del  vero,  amici  di  Luciano   diventarono  a  suon  di  bigliettoni , non certo per  aver  frequentato  mai  teatri  d'Opera. I  duetti  tra  Pavarotti  e  i  suoi  amici, per  10  anni, furono  della  più  varia  specie, dal sublime  all'orrido, ma  costituirono  la  più  solida  base  per il  crossover  ormai  adulto e vaccinato, pronto a  tutto...

 

 

"Pavarocky  Horror  Show"  verrebbe da  dire, dopo  il  Werther   versione Lamberto  Bava interpretato  dal Tenorissimo  con l'inquietante  Grace  Jones.

Non si  può  tuttavia  parlare di  crossover  senza ricordare  il  decisivo  contributo  offerto al  genere da  Andrea Bocelli, che  potremmo  definire  un  "crosstenor"  o  un  "overtenor" , considerando il suo vastissimo  repertorio  e il  continuo, a  volte  audacissimo  impegno  nell'ambito  del  pop  e  dell'opera  lirica.  Bocelli  duettò,  ça  va  sans  dire, con lo  stesso  Pavarotti  in uno  degli  storici  incontri  modenesi...

 

 

Gli anni  2000  vedono  il  trionfo  e  l'avallo  totale del  crossover, passato  di  ugola  in ugola, da Bocelli a  Safina,  da  Filippa  Giordano  a  Vittorio  Grigolo,ancora  il  Trio  Pupo-Vittorio Emanuele  e Luca  Canonici, arrivando ad  alcuni  fenomeni  televisivi odierni, come  la  "Barbie"   Katherine  Jenkins,  pronta   a indossare  il vestitino giallo e  a  cantare  "Nessun  dorma"  davanti a   folle  plaudenti  e  mediamente disorientate...

 

 

Crossover, croce  e\o  delizia? Dipende  dai gusti  , dalle abitudini, forse anche dalle  latitudini  e dallo  stress...

Certo  è  che l'Opera  nel  corso  della  sua  lunga  e tormentata  storia  ne ha fatti parecchi  di  salti mortali. Sopravviverà  anche a   questo, com'è  sopravvissuta a  un Brindisi  singolare  , realizzato  come  bis  al  Covent  Garden  di  LOndra  da  Carreras, da Katia  Ricciarelli, da Agnes  Baltsa e da Ruggiero  Raimondi.  Osservando  ciò  che accade, tra risate, lazzi  e  orchesche emissioni, verrebbe  da chiedersi   quale veleno  si  stato instillato  nelle  coppe  di Violetta  Valéry  e  Alfredo  Gérmont?

 

...sarà  sicuramente  la  stessa  pozione, non magica  ma  tragica, bevuta dai  quattro  'magnifici'  interpreti  di  quest'altro  Brindisi, cioé  dai  vincitori  del talent  show  inglese  Popstar  to  Operastar con i loro  rispettivi  maestri:  Rolando Villazon  (ormai  identico al  santone  Sai  Baba)  e  Katherine  Jenkins, ancora  lei, sempre  più  Barbie.

 

 




 
BATRACOMIOREGìA
Giovedì 15 Luglio 2010 14:42

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Aida, regìa: Zeffirelli                                                               Ratto dal serraglio, regìa:Bieito

 

A partire dagli anni Settanta del secolo  scorso, le regìe d’ opera si sono suddivise in due grandi categorie: le regìe di stampo “tradizionalista” (uso di materiali “storici” come le tele dipinte, impianto luci a diffusione, impostazione classica con rispetto delle didascalie, ambientazione nei tempi voluti dall’autore, costumi d’epoca, ec.), e quelle di tipo “sperimentale” o “moderno” ( ampio campionario di stravolgimenti: d’epoca, di costumi, di situazioni, inserimento di personaggi non previsti, persino di musiche non previste, interventi di fantasia voluti espressamente dal regista e dal suo scenografo e….tanto, tanto sesso).

L’ antinomia produce effetti opposti e tra loro fortemente contrastanti:da una parte i fautori di un teatro classico, didascalico, buono per tutti i gusti ma fatalmente rivolto a un pubblico di abituées, più tranquillo e posato; dall’altra un teatro di rottura, trasgressivo, iconoclasta, molto contestato dai melomani integralisti , destinato a fasce giovanili più irrequiete, magari frequentatori occasionali del melodramma , intellettuali annoiati.

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Ovvio che nel genere del teatro “trasgressivo” se ne siano viste di tutti i colori.

Si va a temi, desunti naturalmente dall’attualità o dai grandi eventi storici del passato prossimo .Troviamo per esempio lo sfruttamento quasi ossessivo dei temi legati alla Seconda Guerra Mondiale, quindi nazisti e carri armati a iosa in opere di vario genere: dal facile Nabucco alla Tosca (celebre quella “ fascista” di Jonathan Miller al Maggio Fiorentino),dal Macbeth(la fischiatissima regìa di Dominique Pitoiset al Regio di Parma nel 2001, in cui a dire il vero apparivano pure Mary Poppins e altri personaggi un po’ meno impegnativi) alla Forza del destino o al Ring wagneriano, senza escludere Mozart ovviamente, o persino Haendel. I nuovi eroi dell'Opera lirica , del resto, sono fatalmente legati all'attualità, anche per quanto riguarda i compositori: abbiamo così La morte di Klinghoffer di John Adams, basata sull'omicidio del turista americano sull'Achille Lauro negli anni Ottanta; ecco Biko di Paintal e Fawkes dedicato al sindacalista sudafricano ucciso dalla polizia a Johannesburg nel 1977; ecco Nixon in China dello stesso Adams o The Manson Family di John Moran, in cui lo stesso autore veste i panni satanici di Manson, l'omicida. Gli assassini, i mostri hanno un particolare successo, come dimostra The assassins di Stephen Sondheim, in cui la protagonista è Squeaky Fromme, la donna che tentò di assassinare il presidente Ford.

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   Candide, regìa: Carsen

 

Un’altra ossessione per i registi è legata al sesso, annessi e connessi: ecco quindi Don Giovanni che palpa sederi e seni delle sue donne, ecco Graham Vick che nel Rigoletto proposto a Londra, Madrid e Palermo regala al Duca una fellatio (prudentemente eliminata nella ripresa siciliana del dicembre 2003),ecco l’Euridice di Peri e Rinuccini ripresa a Firenze nel 2000 e trasformata da “gentilissima favola” a un baccanale di papponi, tossici e prostitute; ecco in Traviata , ancora di Graham Vick (Verona (2003) apparire una bambola nuda alta circa venti metri   regia7__traviata__vick,  toreri svestiti nel quarto atto della Carmen di Hugo de Ana, per la gioia delle damazze genovesi sedute in prima fila , munite di binocolini. Sesso e violenza sembrano le attuali predilezioni dei registi , soprattutto d’area germanica: orge,sevizie, persino un massacro finale nel Ratto dal serraglio di Mozart alla Komische Oper di Berlino (2004), a firma di Calixto Bieito. Belmonte è ovviamente un travestito, non mancano proiezioni di film hard e il suicidio finale di Costanza, mentre Pedrillo e il suo padrone massacrano i clienti del bordello di Selim Pascià, roba da far sembrare i terroristi di Al Qaeda delle timide educande.

Sempre Bieito  circonda  Armida , nell'opera  di  Gluck, di  boys  svestiti: non è  forse  il  sogno  di  ogni  primadonna  ritrovarsi  circondata  da  tante  attenzioni?

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Nel Don Carlos di Verdi a Berlino (2004), il regista Philipp Himmelmann ha preferito rendere il drammone a fosche tinte una riunione conviviale, una sorta di grande abbuffata in salsa hot: Don Carlos spruzza yogurth in faccia ai commensali, Rodrigo si ritrova una frittata sui pantaloni, la regina nervosamente stira, mentre Filippo II e la principessa Eboli copulano clamorosamente sulla medesima tavolata. La scena dell’Auto-da –fé vede alcuni eretici nudi e appesi per i piedi, poi cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Falli che penzolano e ballonzolano un po’ ovunque, sempre che non debbano addirittura presentarsi nella più classica versione eretta: un Minotauro infoiato si presenta con l’ “alzabandiera” nel Baccanale del Tannhauser di Wagner a Ginevra (settembre 2005), grande trovata del regista Olivier Py (del resto le didascalie wagneriane, in merito a tale scena orgiastica, parlavano chiaro); per assicurarsi tale prestazione, il regista fece ricorso a un attore porno, abituato a erezioni , per così dire, facili e “straordinarie”.

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Non possono mancare gli amori gay che esplodono in Don Carlos, Otello, Ermione di Rossini, nel Ballo in maschera (il celebre allestimento a Londra nel 2002, poi a Barcellona, di Calixto Bieito: con orge nel bordello di Ulrica, sodomizzazione e uccisione di un gay, il tutto ambientato nella Spagna di Franco!). Rossini in mutande al famoso ROF (Rossini Opera Festival) di Pesaro nel 2003, con la regìa di Lluis Pasqual che per l’appunto suggerì una passerella di desmutandados nel Comte Ory . Amori saffici addirittura in Traviata : nel recente allestimento ad Hannover, il solito impagabile Bieito ipotizza Annina come amante di Violetta, la quale finge di essere tisica per disfarsi così del maschilistico duo Gérmont. Traviata è in effetti un buon banco di prova per sperimentazioni e follìe di vario tipo: nell'ottobre del 2008 il regista Felix Breisach compone il capolavoro verdiano nientemeno che nell'affollata stazione ferroviaria di Zurigo, con Eva Mei e il tenore Grigolo circondati da Eurostar, passeggeri curiosi e rumori d'ogni tipo.regie_16_traviata__zurigo Eva Mei,Vittorio Grigolo

Altro tema caro è quello della droga: Mimì muore di overdose nella Bohème di Ken Russell (autore tra l’altro di un Mefistofele comico a Genova, con mamme tagliate a pezzi in frigorifero e bambini in lavatrice!), la droga circola liberamente nel Mozart di Peter Sellars.

Un altro assillo è quello religioso: nel Faust di De Ana all’Opera di Roma alcuni cardinali si presentano con i rispettivi falli eretti in bella mostra; Scarpia è un alto prelato nella Tosca di Ripa di Meana alle Terme di Caracalla nel 2009 (scontato dejà-vu ) mentre nella Tosca firmata da Antonio Latella a Macerata (2005) abbiamo addirittura la Madonna nuda in scena che , oltre a partorire angeli, aiuta la protagonista a spiccare un volo simbolico verso l’al di là.

Nella  Tosca  di  Luc Bondy , vista  al  Met  e a Monaco  nel  2010, Scarpia  palpeggia  e  abbranca  la  statua  della Madonna  alla fine del Te  Deum,colto  da  un raptus mistico-erotico.

Stlizzazione, assenza  di suppellettili, vuoti esistenziali, luci di  taglio  hanno  caratterizzato  il  teatro  di Bob Wilson, che adistanza  di  40  e passa  anni dal  suo  debutto ci  ripropone  un'Aida minimalista, grigia, fatta  di giochi  d'ombra e  di  mosse  kabuki

regia1_bob_wilson Aida, regìa: Wilson

In  fondo si  somigliano un pò  tutte  queste  regìe, fateci  caso: sulla  stessa  scenografia  vuota, vagamente ospedaliera, puoi  collocare  qualsiasi  titoli, sia  esso Turandot  o Don Giovanni.La Rusalka di  Carsen  finisce  per  essere  identica a  una  qualsiasi Bohème,Traviata,Otello, Pagliacci.

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Rusalka, regìa: Carsen

L'ossessione  finale  (ipotizziamo  su  ispirazione dei luoghi  in cui i  registi  'meditano' le piu'  singolari imprese) riguarda  le  tazze  dei  cessi. Prima timidamente, poi  sempre  più frequentemente  i  wc  sono apparsi  sui  palcoscenici, quali  ideali  arredi  di  Ballo in  maschera  &  C.

       regie_9__tazze_calixto_bieito

 

 
MEMORABILIA n.2, per non dimenticare le grandi esecuzioni
Mercoledì 14 Luglio 2010 07:53

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Seconda  puntata  del  nostro appuntamento  con le  esecuzioni  indimenticabili, un utile  "ripasso"  che  soprattutto  d'estate  non fa  mai  male. La riconoscenza, diceva un saggio  francese,  è  una  virtù  rivolta  al  futuro  piuttosto che al  passato  e  noi, che siamo  riconoscenti  a  chi  ha  dato  gioia  ed emozione, vogliamo  che tale  virtù  sia  rivolta  soprattutto al  presente.

Cominciamo  con un duetto  che si realizzò  a  New  York, durante  uno  dei  mitici  "Galà  Richard  Tucker"  alla  Carnegie  Hall. Qui abbiamo il baritono Sherill Milnes e  il  tenore Giuseppe Giacomini,colti  in stato  di  grazia  nel  grande  duetto  "Sì  pel  ciel" tratto  dal  II  atto  dell'Otello di Giuseppe  Verdi. Da  notare i  tempi  perfetti  staccati  da Anton Guadagno e  il  poderoso la  naturale  all'unisono  con  cui  si  chiude  il  pezzo, tra  l'entusiasmo  generale.

 

 

Nel  genere  rossiniano  Juan Diego  Florez non teme  rivali. Nel  difficilissimo  rondò Cessa  di  più  resistere" che  di  solito  veniva  omesso  dal  Barbiere  di  Siviglia di Gioachino Rossini , almeno  fino  all'avvento  di  specialisti  temerari  come  Rockwell  Blake   prima  e  Florez  oggi, il  tenore  peruviano riesce  a coniugare  stile, agilità perfetta, eleganza, intonazione, estensione. Un cocktail  ideale  per  il  repertorio  belcantistico, di  cui  Florez  è  campione  assoluto.

 

 

In  un'epoca  di  giochi e  scherzi  pericolosi, come  la  recente  "Norma" a  Dortmund  interpretata  da  Cecilia  Bartoli, riascoltare  il  "Teneri  figli" del  soprano  Ghena  Dimitrova può davvero  contribuire  a rimettere  qualche  utile  puntino  sulle  "i". Norma  è  e resta  un soprano  drammatico  di  agilità  e  ciò  vuol  dire  che , a  fronte  di una indiscutibile  capacità  virtuosistica, bisogna  avere  la  VOCE  necessaria  a  imporsi , sia  per la  credibilità  del  personaggio  sia per  emergere  dai  flutti  di  un'orchestra  che, spesso e  volentieri, crea  una  barriera  sonora  drammatica.

Quel che  sorprende  nella  Norma  di  Ghemna Dimitrova  è  la  strepitosa  qualità  della  sua  mezzavoce, il sentimento  che affiora  da  ogni  frase, la  linea  impeccabile. Considerando, tra  l'altro, le  opere  che  il soprano  bulgaro normalmente cantava in  quel  periodo  (e  che ha  cantato in tutta  la  sua  vita): Nabucco, Turandot, Macbeth, orza del destino, Tosca, Aida, Fanciulla  del  West.  Quanto  di  più  lontano  dal mondo rarefatto  e  stilizzato  di  Bellini.

Eppure...


 

Siamo a  Rio de  Janeiro  nel  1951, Beniamino Gigli è  negli  ultimi  quattro  anni  della  sua  fantastica  carriera, iniziata nel  1914 a  Rovigo, cantando  Enzo  nella  Gioconda  di  Ponchielli.Il  ruolo  di  Des  Grieux, proibitivo  per  qualsiasi  tenore (Corelli  non  volle  mai  accettare   questa  scrittura, nonostante  le  offerte  favolose)  vede  un Gigli  anziano ma  ancora  prodigioso, perché  prodigiosa  fu la  sua  tecnica: a  gola  aperta, come  dicevano i  vecchi  maestri. Una  tecnica sconosciuta a  molti  attuali  tenori, da  Villazon a  Kaufmann.

Gigli  canta  "No, pazzo  son"  con l'esuberanza  di un ragazzino  e  sale senza  tema  alcuna  al  si  naturale, aggiungendone  persino  uno  (lo  faceva  sempre)  sulla  coda finale. Molti sorrideranno  per  il  vezzo  di  commentare  le  frasi  del  Capitano..."  ebben....ebben...grazie  Capitano!" , ma  è  Gigli  che  sente  il  personaggio  fino ad  appropriarsi  del  testo ,  questo  vuol  dire  - come  nello  sport-  "avere  cuore".


 
Un articolo di Francesco Ernani, per la difesa dell'Opera in Italia
Martedì 13 Luglio 2010 08:41

                TEATRO_VUOTO

 

La realtà del mondo dell’opera in Italia, gloriosa e diffusa forma d’arte e che è stata madre delle diverse successive “opere” di altre nazioni, abbisogna di urgenti decisioni relative alla sua attuale disciplina legislativa-regolamentare al fine del superamento  dell’esistente stato di crisi dell’intero settore con particolare riferimento agli aspetti di gestione delle Fondazioni lirico sinfoniche.

L’importanza del servizio pubblico da perseguire, che si accompagna all’attività di autori, interpreti ed esecutori, presenti nel campo della vita culturale, costituisce essenziale riferimento per ricercare modalità di difesa del patrimonio dell’opera in Italia, sempre oggetto di ammirazione nel contesto internazionale.

Ci ricorda Bruno Barilli nel suo libro “Paese del Melodramma” – “…la clientela aggressiva e demagogica dei politicanti ha guastato il chiuso storico giardino italiano, ha tratto in rovina anche questo istituto nativo e carico di carattere che, coronato di gloria, una volta, e investito di potere temporale, par divenuto oggi un terrapieno sconvolto per costruzioni edilizie…” -

Così in attesa dei risultati del lavoro in Parlamento sul decreto legge n° 64, del 30 Aprile 2010 del Ministro Bondi, che si ritiene uno strumento non adeguato, la difesa del patrimonio culturale costituito dai teatri d’opera deve potersi attuare nell’ambito di un confronto tra le parti sociali interessate ed un ordinario percorso legislativo.

Per i predetti teatri, derivati dalla trasformazione degli enti di prioritario interesse nazionale operanti nel settore musicale, va sottolineato come essi  godano di un’ autonomia statutaria, ai sensi del Codice Civile (arte, 4d lgs. 367/1996), in modo che non si pongano particolari problemi per l’adozione di un modello di gestione che consenta il controllo delle modalità di esecuzione dei programmi di attività approvati insede dei bilanci previsionali d’esercizio.

Si viene a proporre, per ritornare a crescere, una medicina preventiva in grado di mantenere nella migliore salute, anche sul piano economico-finanziario istituzioni di specifica valenza culturale nel confronto con le omologhe istituzioni europee ed extraeuropee.

Si ritiene  che l’applicazione dei codici scritti tesi a definire standard e procedure relative alle aree che influenzano i costi fissi e variabili di ciascun teatro, nel quadro delle proprie differenti strutture e nel rispetto delle decisioni dei competenti Organi, ai sensi delle norme di legge e di statuto, consenta di seguire il filo della “sinopia” con il controllo preventivo dei modelli organizzativi e di gestione e delle loro idoneità alla natura dell’attività svolta.

In particolare si richiamano i seguenti punti che si collegano alla disciplina della responsabilità amministrativa di cui al d. lgs. n° 231/2001:

  1. Costo del personale:

a) Con riguardo alle normative in materia di “piano organico funzionale”, di personale aggiunto, di collocamento a riposo, di tipologia di contratti (a tempo parziale e/o a prestazione) e di sicurezza sul lavoro;

b) con riguardo alla disciplina normativa dei contratti collettivi nazionali delle diverse categorie: maestri collaboratori, professori d’orchestra, artisti del coro, tersicorei, dirigenti, impiegati ed operai;

c) con riguardo alle discipline normative ed economiche derivanti dagli accordi integrativi aziendali.

2.     Costo di scritturre artistiche: con riguardo ai contratti con autori, direttori d’orchestra, artisti, registi, scenografi, coreografi ecc…  Occorre pure valutare, nel rispetto delle norme europee, i diritti del teatro produttore ed il possibile uso derivato dello spettacolo realizzato.

3.     Costo per acquisti diretti di beni e di servizi.

4.     Costo per appalti esterni tesi all’acquisizione di beni e di servizi.

5.     Costo derivante dalle convenzioni con il comune sede del teatro e proprietario dei beni immobili concessi in uso gratuito.

6.      Esame situazione patrimoniale del teatro.

Sembra superfluo ricordare la lezione di Arturo Toscanini alla Scala di Milano,  dopo che i privati, palchesttisti,  rinunciarono alla sua gestione e si creò il primo ente autonomo per il melodramma in Italia.

Richiedere il necessario investimento di risorse, pubbliche e private, per il settore significa un ordine nel dilettantismo attuale e recuperare valori immateriali e materiali necessari alla difesa della nostra vita culturale e sociale.

 

Francesco Ernani, 6 maggio 2010

 


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