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ANNA, la SUPER DIVA
Sabato 24 Ottobre 2020 12:53


                     netrebko1


Mi punge vaghezza di parlarvi adesso della voce femminile più importante dei tempi attuali,

Anna Netrebko , e di analizzarne le plurime virtù.

Quando la ascoltai la prima volta dal vivo, come Susanna nelle Nozze di Figaro  e subito

dopo in Gilda nel Rigoletto , Bohème e in Lucia, feci un salto sulla poltrona: pur venata

appena di quella brunitura che oggi le consente di essere più che credibile in un repertorio

assai più drammatico,  la voce risultava subito una GRANDE voce, ricca di armonici e

doviziosa nel timbro. Bella lei, con o senza chili in più, bellissima la sua qualità naturale, la

sua stoffa. Una volta Carreras (un altro timbro benedetto da Dio) mi disse un concetto

illuminante: “Io fraseggio con il colore della mia voce.” Cosa voleva dire?  Una Santa Verità:

quando hai un timbro speciale, unico, di superiore caratura non hai bisogno di impazzire

con sofisticherie esecutive, alchimie tecniche, sopracuti e piroette vocali…SEI già, ti puoi

tranquillamente appoggiare alla bellezza del proprio strumento. Ma Anna Netrebko

mostrava una marcia in più: sapeva stare in palcoscenico come nessuna, mossa da un

istinto e una teatralità naturali impressionanti, che si riassumevano perfettamente nei 5

minuti dell’aria “Meine Lippen” di Léhar, dove oltre a cantare con una nonchalance e una

facoltà addirittura strafottente , riusciva a prodursi in un balletto scatenato, direi proprio

“cosacco” , mandando il pubblico in visibilio. Questo si chiama TALENTO (quello che

secondo Wilde “non si perdona”).


           


Le biografie ricordano i suoi avventurosi inizi : “il soprano Anna Netrebko inizia a lavorare

pulendo i pavimenti dell’ Opera Kirov di San Pietroburgo per pagarsi gli studi di canto.La

sua carriera inizia quando viene notata dal direttore Valery Gergev ,che diviene il suo

mentore.” (Wikipedia) Da ragazza è magra e più simile a una modella che a una cantante

lirica, perfetta per la prima importante copertina del recital Deutsche Grammophon, diretta

addirittura da Abbado. La voce dei primissimi tempi è filiforme, carina ma non ancora

sostenuta a dovere dal fiato eppure Gergev prima e le multinazionali poi capiscono che

dietro a quella leggiadra fanciulla si cela una vera futura Diva.


I ruoli che la consacrano sono quelli dove può mettere in risalto una recitazione esplicita,

diretta, persino sfrontata :Manon di Massenet (resta agli atti l’immagine osé di lei a gambe

larghe libidinosamente osservata da Rolando Villazon), Juliette nell’opera di Gounod,

Violetta Valery nella celeberrima Traviata di Salisburgo nel 2005 che segna un trionfo

assoluto. La Netrebko in chiave lirica aggiunge Mimì in Bohème come personaggio chiave

mentre soffre sui sopracuti dei ruoli più belcantistici, non avendo il mi bemolle tra le frecce

al suo arco.


              netrebko3


Già nella succitata Susanna (che pur recitò come nessuna prima di lei) avevo notato che la

voce veniva artatamente sbiancata, forse alla ricerca di quell’altezza necessaria per

svettare oltre ma Susanna è una parte bassa, una tessitura che a tratti è quella di un

mezzosoprano.


La vera svolta vocale avviene dopo l’Anna Bolena di Donizetti all’Opera di Vienna dove si

presenta con volume e sostegno della voce decisamente diversi da prima.Non so se i

consigli di Renata Scotto siano stati la chiave di volta o una presa di coscienza diversa dei

propri mezzi, sta di fatto che sul palco viennese si agitò una furia scatenata , una vera

protagonista a 360 gradi , tecnicamente solidissima tanto sui passaggi veementi quanto sui

pianissimi adamantini, sempre sorretti da un perfetto uso del fiato.


Ancora magnifica come Norina in Don Pasquale (esiste un video che consiglio a tutti coloro

che hanno voglia di capire cosa sia l’Arte Scenica) e Adina, a fianco di un comicissimo

Ambrogio Maestri, la Netrebko stupisce tutti nella Manon Lescaut, soprattutto l’edizione

romana diretta da Riccardo Muti. L’acustica del Teatro dell’Opera , soprattutto nella platea

centrale in fondo è notoriamente pessima, nel senso che ci vogliono fior di Voci per

superare la buca e soprattutto se sul podio vi è Muti, che non fa sconti a nessuno. La

Netrebko apre bocca e sono 10 soprani in uno, pare amplificata tanto la voce corre e gira,

con effetto olofonico. La cosa impressionante è che i pianissimi delle “trine morbide” o de

“L’ora o Tirsi” hanno lo stesso volume dei fortissimi, da lontano si nota il costume che si

allarga sui fianchi a ogni presa di fiato, segno evidente di un sostegno meditato e costante.


                   


Puccini è il futuro della Netrebko, che aggiunge Tosca e persino Turandot, nel gennaio

2020.

Qui possiamo rilevare qualche suono più artefatto, dovuto anche alla dizione che resta

legata  ai natii fonemi russi, ma è fuor di dubbio che il personaggio si impone con

autorevolezza,  forte di una vocalità ricca e brillante.

Anche la Diva ha i suoi bravi stratagemmi tecnici, come tutti: il modo particolare di serrare i

denti sui pianissimi, favorendo così il diminuendo del suono (io la chiamo  scherzosamente

"odontotecnica") , ma nel Canto  TUTTO è lecito ai fini di raggiungere il miglior risultato

possibile.

A 26 anni dal debutto la Netrebko ha mantenuto ogni più rosea aspettativa ed è in vetta alla

classifica; c’è chi aveva preconizzato una fine prematura : mai profezia fu più sballata.


                                            netrebko


 


English translation  

I want to talk  now about the most important female voice of the present times, Anna Netrebko, and to analyze her multiple virtues.

When I first listened to her live, as Susanna in the Marriage of Figaro and immediately afterwards in Gilda in Rigoletto, Bohème and Lucia, I jumped into the armchair: even though it was barely veined with that browning which today allows a much more dramatic repertoire, the voice was immediately a GREAT voice, rich in harmonics and rich in timbre. Beautiful her, with or without extra pounds, beautiful her natural quality, her fabric. Once Carreras (another God-blessed timbre) told me an illuminating concept: "I phrasing with the color of my voice." What did that mean? A Holy Truth: when you have a special, unique, superior timbre, you don't need to go crazy with executive sophistry, technical alchemies, over-notes and vocal pirouettes ... YOU ARE already, you can safely lean on the beauty of your instrument. But Anna Netrebko showed an extra gear: she knew how to stay on stage like no one, moved by an impressive natural instinct and theatricality, which were perfectly summed up in the 5 minutes of Léhar's aria "Meine Lippen", where in addition to singing with nonchalance and an even arrogant faculty, he managed to produce a wild ballet, I would say “Cossack”, sending the public into raptures. This is called TALENT (the one that according to Wilde "is not forgiven").

The biographies recall her adventurous beginnings: "The soprano Anna Netrebko starts working by cleaning the floors of the Kirov Opera in St. Petersburg to pay for her singing studies. Her career begins when she is noticed by the conductor Valery Gergev, who becomes her mentor . " (Wikipedia) As a girl she is thin and more like a model than an opera singer, perfect for the first major cover of the Deutsche Grammophon recital, even directed by Abbado. The voice of the earliest times is threadlike, cute but not yet properly supported by the breath, yet Gergev first and then the multinationals understand that behind that graceful girl there is a true future Diva.

 

 

The roles that consecrate her are those where she can highlight an explicit, direct, even brazen acting: Massenet's Manon (the risque image of her legs spread lustfully observed by Rolando Villazon remains on record), Juliette in Gounod's work , Violetta Valery in the famous Traviata in Salzburg in 2005 which marks an absolute triumph. Netrebko in a lyrical key adds Mimì in Bohème as a key character while suffering on the upper notes of the most bel canto roles, not having the E flat between the arrows on her bow.

Already in the aforementioned Susanna (who even acted like no one before her) I had noticed that the voice was artfully bleached, perhaps in search of that height necessary to soar beyond but Susanna is a lower part, a texture that at times is that of a mezzo soprano.

The real vocal turning point takes place after Donizetti's Anna Bolena at the Vienna Opera where she presents herself with decidedly different volume and voice support than before.I don't know if Renata Scotto's advice was the keystone or an awareness different from its own means, the fact is that on the Viennese stage an unleashed fury was stirred, a true protagonist at 360 degrees, technically very solid both on the vehement passages and on the adamantine pianissimi, always supported by a perfect use of breath.

Still magnificent as Norina in Don Pasquale (there is a video that I recommend to all those who want to understand what Scenic Art is) and Adina, alongside a very comic Ambrogio Maestri, Netrebko amazes everyone in Manon Lescaut, especially the Roman edition directed by Riccardo Muti. The acoustics of the Opera House, especially in the central audience at the back, are notoriously bad, in the sense that it takes a lot of Voices to get over the hole and especially if there is Muti on the podium, who doesn't discount anyone. Netrebko opens her mouth and they are 10 sopranos in one, it seems amplified so much the voice runs and turns, with a holophonic effect. The impressive thing is that the pianissimi of the "soft lace" or "L'ora o Tirsi" have the same volume as the fortissimi, from a distance you can see the costume that widens on the hips with every breath, an evident sign of support thoughtful and constant.

Puccini is the future of Netrebko, which adds Tosca and even Turandot, in January 2020. Here we can detect some more artificial sounds, perhaps due to diction that remains linked to the native Russian phonemes, but it is beyond doubt that the character imposes himself with always strong authority of a rich and brilliant vocality.Even the Diva has her own good technical tricks, like everyone else: the particular way of clenching her teeth on pianissimi, thus favoring the diminuendo of the sound (I jokingly call her "dental technician"), but in Canto EVERYTHING is legitimate in order to reach the best possible result. At 26 years after the debut, Netrebko has kept all expectations and is at the top of the rankings, there are those who had predicted a premature end: never was prophecy more high.

 
Jonas Kaufmann, Artista con la A maiuscola
Mercoledì 21 Ottobre 2020 06:35

 

                        kaufmann2

 

Sollecitato dall’attualità e da alcune specifiche richieste da parte di amici, voglio tracciare oggi un profilo vocale e artistico di quello che considero attualmente il miglior tenore in attività: Jonas Kaufmann.

So che l’argomento “TENORE” è sempre foriero di discussioni accese, di confronti soprattutto tra questo e quell’altro, scontri epocali tra tecniche, stili, modi di interpretare e so anche molto bene che ognuno finirà col tenersi ben stretto il proprio beniamino, un pò come fanno quelli che votano in omaggio al proprio nonno .

Cercherò come mio solito di essere equanime e analitico, partendo sempre e soltanto dai dati di fatto.

Jonas Kaufmann balza agli onori delle cronache dopo una riuscita serie di recite di “Così fan tutte” di Mozart alla Piccola Scala, durante la stagione 1997/98, aveva debuttato appena tre anni prima nella natìa Germania. Dalla registrazione di una delle recite possiamo già tracciare un profilo vocale abbastanza completo, essendo l’aria “Un’aura amorosa” una perfetta cartina tornasole. Un tenore lirico , affatto leggero, con una naturale eleganza e una teutonica musicalità che gli assicurano i parametri base : intonazione, legato, fraseggio, giro facile verso la zona acuta. Il timbro è molto bello: scuro , pieno, ricco di armonici, la voce sale e scende senza difficoltà, l’italiano non presenta difetti  e se aggiungiamo la  notevole presenza e prestanza  fisica abbiamo tutte le doti necessarie per una futura brillante carriera.

                     


Ciò avviene puntualmente , Kaufmann viene scritturato da alcuni tra i più importanti teatri internazionali, ancora in Mozart ma anche il Verdi di Traviata,il Faust di Gounod, il Don José di Carmen che nel 2006 segna una prima importante svolta nel genere più drammatico. Intendiamoci  :per un cantante di formazione tedesca  cantare Mozart  e al tempo stesso Verdi o Bizet è una cosa normalissima, che fa parte di una normale carriera. Aggiungo , per i meno esperti, che il tenore mozartiano non è propriamente un tenore leggero , tutt’altro: è un baritenore a tutti gli effetti e non sto qui a elencare i nomi eccezionali che hanno interpretato le parti di Belmonte, Tamino, Don Ottavio.

La Carmen a Londra segna, si è detto, una svolta importantissima per Kaufmann, che può mettere in risalto non soltanto le doti vocali ma anche e soprattutto quelle attoriali, ormai fondamentali per un cantante lirico moderno.

                           


Kaufmann in scena è davvero un personaggio trasfigurato, totalmente al servizio della regìa , persino nelle più deliranti impostazioni del cosiddetto “regietheater” (basterà ricordare il Lohengrin del 2010 a Bayreuth, quello “dei topi” ) nonostante egli manifesti , nelle sue interviste, un netto contrasto con la moda delle regìe iconoclaste. Sorprendentemente Kaufmann si dichiara avverso allo strapotere e alla stravaganza di molti registi à la page e non lesina critiche anche piuttosto dure. La consacrazione definitiva avviene con i dischi della Decca e della Sony, che se lo contendono per alcune importanti pubblicazioni, tra cui il ciclo schubertiano “Winterreise” e alcuni album dedicati a Verdi, Puccini e Wagner, e con le scritture alla Scala , al Met, a Salisburgo,al Covent Garden e  a Monaco, che diventa il “suo” teatro d’elezione.

Allo stato attuale Kaufmann conta ben 48 ruoli debuttati, che includono gran parte dei ruoli lirici e lirico spinti del repertorio: Andrea Chénier, Pagliacci, Cavalleria, Otello, Manon Lescaut, Tosca, Fanciulla del West, Forza del destino, Ariadne aut Naxos, Aida, Tannhäuser, Lohengrin, Walküre, Parsifal e Meistersinger.

            kaufmann_chenier1

Il pubblico , quello dei teatri, è praticamente tutto dalla sua parte: basterà esaminare il video del suo Don Alvaro o del suo Otello, o del Fidelio con Abbado, per capire che ci troviamo di fronte a un perfetto cantante/attore, che non trascura una sola frase senza conferirle il senso giusto e la relativa azione scenica. Kaufmann può cantare sdraiato, a testa in giù, con le spalle voltate, senza mai guardare il direttore d’orchestra (se non quando è strettamente necessario) e fissando negli occhi la sua partner, se deve dichiararle amore o mostrarsi geloso. Il contrario esatto di una buona fetta di tenori “vecchia maniera” tutti concentrati sulla nota da emettere, piazzati a gambe larghe al centro del palcoscenico , invariabilmente portati a entrare e a uscire senza che null’altro accada. Mi dispiace dirlo, perché so di irritare molti aficionados, ma Kaufmann ha fatto piazza pulita di molti divi e divetti d’antan , senza farli per nulla rimpiangere. Azzardo a dire che non si potrà più prescindere da questo modo di far teatro e di vivere un personaggio: esiste un’era pre-Kaufmann e vi sarà un dopo-Kaufmann, esattamente come è successo con la Callas.

Veniamo alla parte che molti aspettano, come gli spettatori al Colosseo quando si passava al martirio dei Cristiani: la tecnica di Kaufmann.

 

                   

Bisogna parlare di una particolarissima e personalissima tecnica di Canto, esattamente come per alcuni tra i miti della storia operistica. Anche Kaufmann ha creato un “suo” modo di cantare e con quello affronta i ruoli che spaziano da Mozart a Wagner. Spiccano tra le caratteristiche vocali del tenore tedesco le famose mezzevoci e gli effetti di diminuendo che riesce a elargire con notevole maestrìa , persino su alcune frasi epiche come “il trono vicino al sol” di Aida o il finale dell’aria del fiore in Carmen, filando i si bemolli acuti fino a impercettibili pianissimi in morendo. I detrattori lo accusano di emettere falsetti e non mezzevoci, ma toccherà ancora una volta (e non sarà l’ultima) cercare di spiegare la differenza tra l’uno e l’altro, magari senza annoiare troppo. Il falsetto è un suono decisamente più leggero e flebile rispetto alla mezza voce, ma è pur vero che esistono cantanti dal meraviglioso falsetto: se un suono risulta bello, udibile, suadente, giusto nel contesto…perché NON usarlo? Come esistono mezzevoci irreprensibili sotto il profilo tecnico ma non così belle. Dipende. Per fortuna tra il pubblico i maestri di canto sono sempre molto pochi. Senza entrare nella descrizione vocologica del falsetto, che davvero risulterebbe noiosa e pedante, dirò che per distinguere un falsetto da una mezzavoce basta cercare di portare la voce dal pianissimo al fortissimo  (e viceversa) SENZA salti di posizione, interruzioni, microstecche o contrazioni strane della gola: in falsetto è ben difficile diminuire o far crescere un suono senza che “qualcosa” avvenga a livello cordale e laringeo,  mentre con la mezzavoce esiste una maggior duttilità. La questione sarebbe più controversa, tuttavia. Se ascoltiamo il famoso do del Faust diminuito a zero da quel mostro che fu Giuseppe Di Stefano, ci accorgeremo che si passa da un fortissimo a una mezzavoce e indi a un falsetto senza cesure, senza soluzione di continuità. Ma sono casi isolati e quel do di Di Stefano è un unicum, mai più ripetuto con quel velluto e quella geniale intuizione (ci hanno provato in tanti, da Sabbatini a Matteuzzi, anche con discreti risultati ma mai raggiungendo quella meraviglia).

Tornando a Kaufmann egli utilizza un piccolo stratagemma : il colpo di glottide. La contrazione di gola c’è, è fatta a regola d’arte, ed è grazie a quella che il si bemolle di Celeste Aida inizia e termina come previsto da Verdi, pianissimo in partenza e in morendo il finale. Il sistema è completamente diverso da quello utilizzato da Franco Corelli : Corelli parte con un turbo-razzo lucente e di inusitata ampiezza (fortissimo, come NON scritto da Verdi)  e , a gola aperta, riduce al minimo il suono. Kaufmann contrae la gola, ad arte , e crea un effetto più GIUSTO e fedele al dettato verdiano, pur essendo una emissione non ortodossa (ma a lui adatta). Il Canto, signori miei, è anche un gioco di prestigio. Una delle maghe dei pianissimi  fu Montserrat Caballé: trucchi, giochi di prestigio, magìe. Il trucco c’è ma non si deve vedere (e possibilmente sentire).

Si rimproverano a Kaufmann suoni morchiosi e talvolta opachi, soprattutto nella prima ottava o su attacchi in pianissimo (“Ora soave” in Andrea Chénier) . Sì, può darsi, capita , “siamo umani “ (come dice Domingo dopo una celebre stecca nello  Stiffelio). Talvolta il colpo di glottide diventa una vera e propria contrazione e si avverte la “gola” ma in generale Kaufmann è molto attento e padroneggia questo suo sistema, avvantaggiato dal lungo tirocinio sui Lieder e da un gioco di colori costante, sempre legato al segno scritto, da buon tedesco. Ascoltarlo e vederlo nel ciclo “Winterreise” di Schubert è una esperienza che riporta la mia memoria al fenomeno Fischer-Dieskau: essere totalmente al servizio della parola cantata e dei segni preposti dall’autore, in maniera sistematica e senza mai cedere ad alcun compromesso. Se c’è un pianissimo questo pianissimo DEVE essere eseguito, se c’è una forcella questa non sarà trascurata. Senza fare paragoni e soprattutto nomi, che in questa sede non mi interessa, posso dire che  Kaufmann è il più fedele esecutore di ciò che è scritto sulla sua parte. Vi sono cantanti di voce più bella, più potente, più squillante ma nessuno come lui riesce, persino in Nessun dorma, a dare un senso MUSICALE al legato e a ogni frase. Kaufmann canta sempre  partendo dalla musica e NELLA musica. Il "giro" verso gli acuti sulle note di passaggio, eseguito a piena voce, è da manuale e questo è un altro punto di forza: Kaufmann può permettersi di superare indenne passaggi perigliosi come "La vita mi costasse", il finale del duettone con il baritono nella Forza del destino, il secondo atto di Otello, il finale dell'aria di Florestano in Fidelio o il finale del primo atto di Walchiria, non sono cose facili da cantare. Kaufmann è sì un cantante/attore ma è anche un Artista con la A maiuscola. Questa è la ragione del suo successo , al di là dell’apparenza che, come si sa, inganna.

 

English translation


 

Solicited by current events and some specific requests from friends, today I want to trace a vocal and artistic profile of what I currently consider the best tenor in business: Jonas Kaufmann.
I know that the topic "TENOR" is always a harbinger of heated discussions, of comparisons especially between this and that other, epochal clashes between techniques, styles, ways of interpreting and I also know very well that everyone will end up holding on to their favorite , a bit like those who vote in homage to their grandfather do.
As usual, I will try to be fair and analytical, always and only starting from the facts.
Jonas Kaufmann leaps to the headlines after a successful series of performances of Mozart's "Cosi fan tutte" at the Piccola Scala, during the 1997/98 season, he had made his debut just three years earlier in the born Germany. From the recording of one of the performances we can already trace a fairly complete vocal profile, the aria "An aura of love" being a perfect litmus test. A lyrical tenor, not at all light, with a natural elegance and a Teutonic musicality that ensure the basic parameters: intonation, legato, phrasing, easy turn towards the acute area. The timbre is very beautiful: dark, full, rich in harmonics, the voice rises and falls without difficulty, the Italian has no flaws and if we add the remarkable presence and physical prowess we have all the skills necessary for a future brilliant career.
This happens punctually, Kaufmann is hired by some of the most important international theaters, again in Mozart but also the Verdi of Traviata, the Faust of Gounod, the Don José of Carmen which in 2006 marks a first important turning point in the more dramatic genre. Let's be clear: for a German-trained singer singing Mozart and at the same time Verdi or Bizet is a very normal thing, which is part of a normal career. I add, for the less experienced, that the Mozartian tenor is not really a light tenor, far from it: he is a baritenor in all respects and I am not here to list the exceptional names who have played the parts of Belmonte, Tamino, Don Ottavio .

Solicited by current events and some specific requests from friends, today I want to trace a vocal and artistic profile of what I currently consider the best tenor in business: Jonas Kaufmann.
I know that the topic "TENOR" is always a harbinger of heated discussions, of comparisons especially between this and that other, epochal clashes between techniques, styles, ways of interpreting and I also know very well that everyone will end up holding on to their favorite , a bit like those who vote in homage to their grandfather do.
As usual, I will try to be fair and analytical, always and only starting from the facts.
Jonas Kaufmann leaps to the headlines after a successful series of performances of Mozart's "Cosi fan tutte" at the Piccola Scala, during the 1997/98 season, he had made his debut just three years earlier in the born Germany. From the recording of one of the performances we can already trace a fairly complete vocal profile, the aria "An aura of love" being a perfect litmus test. A lyrical tenor, not at all light, with a natural elegance and a Teutonic musicality that ensure the basic parameters: intonation, legato, phrasing, easy turn towards the acute area. The timbre is very beautiful: dark, full, rich in harmonics, the voice rises and falls without difficulty, the Italian has no flaws and if we add the remarkable presence and physical prowess we have all the skills necessary for a future brilliant career.

This happens punctually, Kaufmann is hired by some of the most important international theaters, again in Mozart but also the Verdi of Traviata, the Faust of Gounod, the Don José of Carmen which in 2006 marks a first important turning point in the more dramatic genre. Let's be clear: for a German-trained singer singing Mozart and at the same time Verdi or Bizet is a very normal thing, which is part of a normal career. I add, for the less experienced, that the Mozartian tenor is not really a light tenor, far from it: he is a baritenor in all respects and I am not here to list the exceptional names who have played the parts of Belmonte, Tamino, Don Ottavio .

It has been said that Carmen in London marks a very important turning point for Kaufmann, who can highlight not only her vocal skills but also and above all those of acting, which are now fundamental for a modern opera singer.

Kaufmann on stage is truly a transfigured character, totally at the service of the director, even in the most delirious settings of the so-called "regietheater" (it will suffice to recall the 2010 Lohengrin in Bayreuth, that of "mice") despite the fact that he manifests, in his interviews, a sharp contrast with the fashion of the iconoclastic regia. Surprisingly Kaufmann declares himself averse to the excessive power and extravagance of many à la page directors and does not skimp on criticisms, even rather harsh ones. The definitive consecration takes place with the discs of Decca and Sony, which compete for it for some important publications, including the Schubertian cycle "Winterreise" and some albums dedicated to Verdi, Puccini and Wagner, and with the writings at La Scala, at the Met , in Salzburg, Covent Garden and Munich, which becomes "his" theater of choice.


At present Kaufmann has 48 debut roles, which include most of the lyrical and lyrical roles pushed in the repertoire: Andrea Chénier, Pagliacci, Cavalleria, Otello, Manon Lescaut, Tosca, Fanciulla del West, Forza del destino, Ariadne aut Naxos, Aida , Tannhäuser, Lohengrin, Walküre, Parsifal and Meistersinger.

The audience, that of the theaters, is practically all on his side: it will be enough to examine the video of his Don Alvaro or his Otello, or Fidelio with Abbado, to understand that we are facing a perfect singer / actor, who does not neglect a single sentence without giving it the right meaning and the related stage action. Kaufmann can sing lying down, upside down, with his back turned, without ever looking at the conductor (except when strictly necessary) and staring at his partner in the eyes, if he has to declare love or be jealous. The exact opposite of a good slice of "old-fashioned" tenors all focused on the note to be emitted, placed with legs apart in the center of the stage, invariably led to enter and exit without anything else happening. I'm sorry to say it, because I know I irritate many aficionados, but Kaufmann has made a clean sweep of many stars and divas of yesteryear, without making them regret it at all. I venture to say that it will no longer be possible to ignore this way of making theater and living a character: there is a pre-Kaufmann era and there will be a post-Kaufmann one, exactly as happened with Callas.

We come to the part that many are waiting for, like the spectators at the Colosseum when it came to the martyrdom of the Christians: the Kaufmann technique.

We need to talk about a very particular and very personal singing technique, just like for some of the myths of opera history. Kaufmann also created “his own” way of singing and with that he faces roles ranging from Mozart to Wagner. Among the vocal characteristics of the German tenor the famous mezzevoci and the diminuendo effects that he manages to bestow with remarkable mastery stand out, even on some epic phrases such as "the throne near the sol" of Aida or the finale of the aria del fiore in Carmen, spinning the acute B flats up to imperceptible pianissimi in morendo. The detractors accuse him of emitting falsettos and not mezzevoci, but he will touch once again (and it will not be the last) to try to explain the difference between one and the other, perhaps without getting too boring. The falsetto is a much lighter and weaker sound than the half voice, but it is true that there are singers with a wonderful falsetto: if a sound is beautiful, audible, persuasive, right in context… why NOT use it? As there are half-voices irreproachable from a technical point of view but not so beautiful. It depends. Fortunately, there are always very few singing teachers in the audience. Without going into the vocological description of the falsetto, which would really be boring and pedantic, I will say that to distinguish a falsetto from a mezzo-voice it is enough to try to bring the voice from pianissimo to fortissimo (and vice versa) WITHOUT jumps in position, interruptions, micro-ribs or strange contractions of the throat: in falsetto it is very difficult to decrease or make a sound grow without “something” happening at the chordal and laryngeal level, while with the half voice there is a greater ductility. The issue would be more controversial, however. If we listen to the famous C of Faust diminished to zero by that monster that was Giuseppe Di Stefano, we will realize that we pass from a fortissimo to a half voice and then to a falsetto without cesuras, without interruption. But they are isolated cases and that Di Stefano's C is unique, never repeated with that velvet and that brilliant intuition (many have tried, from Sabbatini to Matteuzzi, even with fair results but never reaching that wonder).


Returning to Kaufmann, he uses a small stratagem: the glottal stop. The throat contraction is there, it is done in a workmanlike manner, and it is thanks to that that Celeste Aida's B flat begins and ends as planned by Verdi, pianissimo at the start and in dying the ending. The system is completely different from that used by Franco Corelli: Corelli starts with a bright and unusual amplitude turbo-rocket (fortissimo, as NOT written by Verdi) and, with an open throat, reduces the sound to a minimum. Kaufmann contracts his throat, artfully, and creates a more RIGHT and faithful effect to Verdi's dictation, despite being an unorthodox (but suitable for him) emission. Singing, my gentlemen, is also a sleight of hand. One of the magician of the pianissimi was Montserrat Caballé: tricks, sleight of hand, magic. The trick is there but you mustn't see (and possibly hear).


Kaufmann is reproached for dull and sometimes opaque sounds, especially in the first octave or on attacks in pianissimo (“Ora soave” in Andrea Chénier). Yes, it may happen, it happens, "we are human" (as Domingo says after a famous stick in the Stiffelio). Sometimes the glottal stop becomes a real contraction and the "throat" is felt but in general Kaufmann is very careful and masters this system, benefiting from the long training on the Lieder and a constant play of colors, always linked to the written sign , as a good German. Listening to it and seeing it in Schubert's "Winterreise" cycle is an experience that brings my memory back to the Fischer-Dieskau phenomenon: being totally at the service of the sung word and signs set by the author, in a systematic way and without ever yielding to any compromise. If there is a pianissimo this pianissimo MUST be played, if there is a fork it will not be neglected. Without making comparisons and above all names, which I am not interested in here, I can say that Kaufmann is the most faithful executor of what is written on his part. There are singers with a more beautiful voice, more powerful, more shrill but no one like him, even in No dorma, is able to give a MUSICAL sense to the legate and each phrase. Kaufmann always sings starting from music and IN music. The "turn" towards the treble on the passing notes, performed in full voice, is a textbook and this is another strong point: Kaufmann can afford to overcome unscathed perilous passages such as "Life cost me", the ending of the duet with the baritone in La forza del destino, the second act of Othello, the finale of Florestano's aria in Fidelio or the finale of Walchiria's first act, are not easy things to sing. Kaufmann is a singer / actor but he is also an Artist with a capital A. This is the reason for hissuccess, beyond the appearance which, as we know, deceives.

 

 
VERDI a PARIGI, nuovo bellissimo libro di Paolo Isotta
Venerdì 16 Ottobre 2020 06:43

 

      verdi_parigi

 

 

Con “Verdi a Parigi” (Marsilio Biblioteca) Paolo Isotta dà un nuovo ,

determinante contributo musicologico, inoltrandosi nel mondo variegato del

Grand Opéra , i rapporti con la società e il mondo culturale francese, a partire

dal 1847 e fino al termine della straordinaria parabola del compositore di

Busseto.

E’ un libro che, come tutti i libri di Isotta, va letto e riletto più volte, tanti sono i

riferimenti di carattere estetico, politico e letterario, imprescindibili per

distinguere non soltanto Verdi e la sua ricerca del “Vero” drammatico ma il

complesso meccanismo del Grand Opéra, genere creato da Cherubini,

Spontini e Rossini, ripreso  da Meyerbeer, Auber, Donizetti e Halévy e portato

da Verdi all’apogeo.


                        rigoletto_taddei


La narrazione di Isotta impressiona per la quantità di elementi posti

all’attenzione del lettore , come un grande mosaico dove ogni tassello è

fondamentale per completare l’immagine finale. Vi si intrecciano dati storici,

biografici, aneddoti anche divertenti e notazioni al margine, sempre sagaci e

ironiche laddove , come diceva Victor Hugo, “è dall’ironia che inizia la libertà”.


Con la forza di un fiume in piena Isotta finalmente ricolloca nel suo giusto

alveo Meyerbeer, dimostrando in maniera impeccabile quanto fosse

determinante non solo per il genere del Grand Opéra ma per le successive

conquiste verdiane, si pensi per esempio al Don Carlos.

In sostanza, Isotta dimostra con fine e profonda analisi, che Verdi partì fin dal

Nabucco dal modello del Grand Opéra per arricchirlo man mano di contenuti

stilistici, drammatici e psicologici, tanto da trasformarlo in un nuovo genere, in

una parola “farlo proprio” e persino rovesciarlo .


Fantastici sono i passaggi del libro dedicati ai Balletti scritti da Verdi, forse la

sua musica più bella  e la profonda analisi del Rigoletto , opera rivoluzionaria,

e delle sue fonti letterarie.

Il percorso, ripeto, frastorna per la quantità e per la qualità dei concetti che

Isotta propone e giustifica sempre, senza lasciare nulla al caso ma creando

collegamenti a volte insospettabili e illuminanti. Un grande libro anzi, direi

una grande intuizione da parte del più colto musicologo vivente.


              serafin_callas

Tullio Serafin con Maria Callas


Non mancano tanti riferimenti interpretativi , molti dei quali rendono giustizia

ad artisti talvolta colpevolmente dimenticati o ignorati: con commozione ho

letto il grande Taddei definito come un Rigoletto di assoluto riferimento, ed è

sacrosanta verità. Sommi vengono definiti Mario Del Monaco e Oliviero De

Fabritiis nello Stiffelio (giustissimo) mentre viene ridimensionato un tardo

Gavazzeni del 1995 . “Tutte deplorevoli” vengono giudicate le incisioni del

Don Carlo , salvo quelle dirette da Santini, Serafin e Votto : come non essere

d’accordo? E non devono stupire nemmeno le feroci stroncature riservate

ripetutamente alle realizzazioni discografiche di Riccardo Muti, Pappano o a

Claudio Abbado, di cui senza pietà vengono stigmatizzate opere come

Macbeth (Abbado) e Trovatore (Muti, Pappano)  come “le peggiori incisioni”

mai realizzate.


 


 
IL MIRACOLOSO PLACIDO DOMINGO
Lunedì 12 Ottobre 2020 11:00
domingo
IL MIRACOLOSO PLACIDO DOMINGO
analisi di una voce inimitabile
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Dopo l’ascolto del Nabucco fiorentino di questi giorni e fatte le debite considerazioni storico-vocologiche non ho più dubbi: per Placido Domingo si deve parlare di miracolo.
Non è certo un miracolo dovuto soltanto all’intervento soprannaturale di Dio, che pur concesse al tenore spagnolo tutte le qualità necessarie per assurgere alla sua attuale condizione, ma è un fenomeno spiegabile soltanto dal perfetto connubio tra natura e tecnica, laddove la seconda è completamente generata dalla prima. Cerco di spiegarmi meglio e di sondare (di provarci almeno) il mistero.
Domingo nasce da una famiglia di cantanti, sia il padre che la madre avevano delle bellissime voci e sono stati celebri esecutori di zarzuelas, un genere lirico drammatico in auge nei paesi di lingua spagnola che solo gli inesperti reputano “leggero” rispetto all’Opera, quando invece l’alternanza di brani recitati, parlati, cantanti e danzati conferisce una difficoltà ben superiore a tantissimi conclamati titoli operistici. Domingo proviene da quell ‘humus, ha respirato quell’aria fin da bambino, vivendo più all’interno dei teatri che altrove. Ha subito imparato a suonare (è un ottimo pianista), a leggere la musica, a cantare .
Non chiedetemi di collocare in un preciso arco temporale Domingo: la sua data di nascita è notoriamente uno dei misteri più grandi della Storia, da Stonehenge ad Atlantide. L’equivoco , a detta dello stesso Domingo, deriva da uno scritto di Giacomo Lauri Volpi che attribuì al collega ben 7 anni in più di quelli ufficialmente denunciati , cosa che determinò tutto un susseguirsi di storie e leggende fino ai nostri giorni. Sia come sia, Domingo ha battuto ogni record di longevità artistica : dal 1956 , anno del suo debutto ufficiale, a oggi , sono la bellezza di 64 anni continuativi di carriera , con 130 ruoli diversi di cui 126 eseguiti in scena. I numeri sono impressionanti come le migliaia di recite svolte a ritmi impensabili , spesso sorvolando con aerei privati l’America da un capo all’altro e altri continenti, senza sosta e con una tenuta vocale senza paragoni possibili.
Veniamo dunque a questa vocalità e al perché e come abbia retto l’impatto dei numeri succitati.
Domingo è l’esempio lampante , forse paradigmatico, di come una vocalità teatrale debba forgiarsi essenzialmente partendo dal proprio intuito e dalle proprie forze . “Un solidissimo equilibrio psico-fisico” disse il grande soprano Antonietta Stella per definire il perfetto cantante. Domingo sembra incarnare questo stato.
Partiamo dai mezzi naturali: una voce di bellissimo colore, brunito ma schiettamente tenorile, non particolarmente estesa (anche se Domingo si è divertito in disco a emettere do e re bemolli sopracuti, persino un re sopracuto in falsettone nei Vespri siciliani di Verdi ) , morbida nell’emissione almeno in tutta l’ottava centrale e sui primi acuti. Gli acuti, l’eterno problema. Domingo ne è consapevole (“Non sono nato tenore come Gianni Raimondi o Pavarotti” mi confessò in una intervista) e tuttavia mette in repertorio opere che di acuti ne hanno a iosa. Nelle serate migliori i si bemolli e i si naturali sono pieni e ricchi di armonici. Ricordo un “la vita mi costasse” (si naturale) in Tosca eccezionale, con conseguente esplosione entusiasta del pubblico. Quando la serata è “no” gli acuti sono la buccia di banana su cui Domingo è scivolato, anche malamente e non mancano le registrazioni su YouTube in tal senso. A fronte di migliaia e migliaia di recite, concerti e serate di vario genere la media generale è tutta in favore di Domingo, la tecnica c’è e gli garantisce una tenuta senza pari.
Su cosa poggia la tecnica di Domingo? Sui due pilastri del Canto: il fiato e la posizione del suono. Il fiato è eccezionale: è un uomo alto, dai polmoni lunghi e capienti, la cassa toracica è estesa con muscolatura robusta. La moglie, Marta Ornelas (cantante anche lei) mi confermò che il segreto vocale di Placido era l’uso del fiato, il cantare SUL fiato e quindi l’assenza di un vero e proprio logorìo delle corde vocali. Non c’è dubbio che la respirazione di Domingo sia da manuale: il famoso legato, che tanti non sanno nemmeno cosa sia, in Domingo è esemplare, persino oggi nella tremenda aria “Dio di Giuda” dal Nabucco, dove le note lunghe e le cadenze fanno spesso sudare sangue ai baritoni. In ogni aria al microscopio, confrontando i modi di cantare degli altri, Domingo esce vincitore: la musicalità, certo, l’intonazione sempre impeccabile, ma soprattutto il fraseggio, gli accenti sempre giusti, il solfeggio perfetto, l’assenza di portamenti e di altri vezzi dettati dal cantare approssimativo , LO STILE. I più grandi direttori d'orchestra lo hanno adorato per questo.
Veniamo alla posizione del suono, che -soprattutto in zona alta- risulta talvolta schiacciata e con un abuso di suoni “nasali”. Qui occorre spiegare meglio e in maniera più approfondita. Il volto di Domingo , le sue naturali cavità di risonanza, non sono quelle classiche del tenore con la T : guardiamo le cavità di un Caruso, il suo faccione quadrato, di Gigli, idem, di Tucker…si somigliano tutti. I faccioni di Pavarotti, Gianni Raimondi, Poggi, Bjoerling…sono tutte voci che “girano” i suoni naturalmente , sfruttando delle risonanze naturali magnifiche (la famosa “maschera”) che madre Natura ha dato loro in dono. Domingo non ha il faccione rotondo, con gli zigomi pronunciati, bensì un volto allungato più stretto, in cui campeggia un naso importante: ed ecco dove si posiziona il suono, ai lati di quel naso, nelle cavità preposte. L’attacco del suono in Domingo è nettamente rino-faringeo, sfrutta cioè la zona che comprende la gola in cui nasce il suono (perché in gola risiedono le corde vocali) e le cavità nasali, alte, per far sì che non siano le sole contrazioni della gola a produrre i suoni teatrali, cosa che sarebbe fortemente perniciosa a lungo o a breve andare. Domingo ha quindi una emissione personalissima che gli garantisce , sfruttando tutte le sue doti naturali, la tenuta, la resistenza, il superamento degli ostacoli creati dalle tessiture più perigliose (si pensi a Turandot, Manon Lescaut, Trovatore, Otello, ma anche Ballo in maschera, Rigoletto, Forza del destino, Aida, Fanciulla del West,Gioconda e chi più ne ha ne metta, TUTTE opere cantate da Domingo in teatro!).
Resta il problema degli acuti estremi, che questo tipo di emissione non può garantire al 100% poiché non vi è la stessa libertà di un suono ampio, a ventaglio, che sfrutti non solo il naso ma anche zigomi, seni frontali e quella benedetta “aspirazione” che si avverte nei più famosi acutisti, da Lauri Volpi a Filippeschi, arrivando a Pavarotti & C. Domingo sugli acuti ha sempre rischiato , talvolta è scivolato, in altre occasioni ha risolto intelligentemente gli scogli peggiori. Nell’ultima fase della carriera, la scelta di cantare ruoli baritonali mi pare legata proprio all’insicurezza sul registro alto, che si è accentuata naturalmente col passare degli anni.
Voglio chiudere questa analisi ricordando che in Domingo non c’è UN SOLO SUONO TIMBRICAMENTE SPOGGIATO, CASUALE, ABBANDONATO A SE' STESSO. Domingo canta SEMPRE sul timbro e quindi non affatica mai il suo strumento. Ancora oggi, ed ecco il miracolo, la voce appare sana, fresca, come quella di un Alfredo o di un Rodolfo con 40 anni di meno sulle spalle. Assai di più, lo ripeto, rispetto a colleghi con la metà della carriera svolta e un decimo dei ruoli interpretati in teatro. In ultimo voglio anche dire che “imitare” Domingo , come Di Stefano, come Del Monaco, come la Callas, come tanti altri….è pericolosissimo, perché per farlo bisognerebbe ESSERE Domingo, Di Stefano, Del Monaco, Callas…e sono tutti modelli unici e originali, non riproducibili.
           domingo_Nabucco2

English translation

THE MIRACULOUS PLACIDO DOMINGO
analysis of an inimitable voice
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After listening to the Florentine Nabucco of these days and having made the due historical and vocological considerations, I have no more doubts: for Placido Domingo we must speak of a miracle.
It is certainly not a miracle due only to the supernatural intervention of God, who even granted the Spanish tenor all the qualities necessary to rise to its current condition, but it is a phenomenon that can only be explained by the perfect combination of nature and technique, where the second is completely generated by the first. I try to explain myself better and to probe (at least try) the mystery.
Domingo was born into a family of singers, both his father and mother had beautiful voices and were famous performers of zarzuelas, a dramatic lyric genre in vogue in Spanish-speaking countries that only inexperienced people consider "light" compared to the Opera, when, on the other hand, the alternation of recited, spoken, singers and danced passages confers a much greater difficulty than many acclaimed operatic titles. Domingo comes from that humus, he has breathed that air since he was a child, living more in theaters than anywhere else. He immediately learned to play (he is an excellent pianist), to read music, to sing.
Don't ask me to place Domingo in a specific time frame: his date of birth is notoriously one of the greatest mysteries in history, from Stonehenge to Atlantis. The misunderstanding, according to Domingo himself, derives from a writing by Giacomo Lauri Volpi who attributed to his colleague 7 years more than those officially reported, which led to a succession of stories and legends up to the present day. Be that as it may, Domingo has beaten all records of artistic longevity: from 1956, the year of his official debut, to today, they are the beauty of 64 continuous years of career, with 130 different roles of which 126 performed on stage. The numbers are as impressive as the thousands of performances performed at unthinkable rhythms, often flying over America from one end to the other and other continents with private planes, without stopping and with an unparalleled vocal performance.
So let's come to this vocality and why and how it withstood the impact of the aforementioned numbers.
Domingo is the striking, perhaps paradigmatic, example of how a theatrical vocalism must essentially be forged starting from one's intuition and strengths. “A very solid psycho-physical balance” said the great soprano Antonietta Stella to define the perfect singer. Domingo seems to embody this state.
Let's start with the natural means: a voice of beautiful color, burnished but frankly tenor, not particularly extended (even if Domingo had fun on the record emitting C and D flat above), soft in the emission at least in the whole central octave and on the first acute. The treble, the eternal problem. Domingo is aware of this (“I was not born a tenor like Gianni Raimondi or Pavarotti” he confessed to me in an interview) and yet he puts in his repertoire works that have plenty of high notes. In the best evenings the B flat and natural B are full and rich in harmonics. I remember a "life cost me" (of course) in Tosca exceptional, with a consequent enthusiastic explosion of the audience. When the evening is "no" the high notes are the banana peel on which Domingo has slipped, even badly and there is no lack of YouTube recordings in this sense. In the face of thousands and thousands of performances, concerts and evenings of various kinds, the general average is all in Domingo's favor, the technique is there and guarantees him an unparalleled performance.
What is Domingo's technique based on? On the two pillars of Canto: the breath and the position of the sound. The breath is exceptional: he is a tall man, with long and capacious lungs, the rib cage is extended with robust muscles. His wife, Marta Ornelas (also a singer) confirmed to me that Placido's vocal secret was the use of breath, singing ON the breath and therefore the absence of a real wear of the vocal cords. There is no doubt that Domingo's breathing is textbook: the famous legate, which many don't even know what it is, is exemplary in Domingo, even today in the tremendous aria "God of Judas" from Nabucco, where the long notes and cadences often make baritones sweat blood. In every aria under the microscope, by comparing the ways of singing of the others, Domingo emerges as the winner: the musicality, of course, the pitch always impeccable, but above all the phrasing, the accents always right, the perfect solfeggio, the absence of portamento and other charms dictated by approximate singing, THE STYLE. The greatest conductors loved it for it.
We come to the position of the sound, which - especially in the upper area - is sometimes squashed and with an abuse of “nasal” sounds. Here we need to explain better and in more detail. Domingo's face, his natural resonance cavities, are not the classic ones of the tenor with the T: let's look at the cavities of a Caruso, his big square face, of Gigli, idem, of Tucker… they all look alike. The big faces of Pavarotti, Gianni Raimondi, Poggi, Bjoerling… are all voices that “turn” the sounds naturally, taking advantage of the magnificent natural resonances (the famous “mask”) that Mother Nature gave them as a gift. Domingo does not have a round face, with pronounced cheekbones, but an elongated, narrower face, in which an important nose stands out: and this is where the sound is positioned, on the sides of that nose, in the appropriate cavities. The attack of the sound in Domingo is clearly rhino-pharyngeal, that is, it exploits the area that includes the throat where the sound is born (because the vocal cords reside in the throat) and the nasal cavities, high, to ensure that they are not the only ones throat contractions to produce theatrical sounds, which would be highly pernicious in the long or short term. Domingo therefore has a very personal emission that guarantees him, taking advantage of all his natural qualities, resistance, resistance, overcoming the obstacles created by the most perilous textures (think of Turandot, Manon Lescaut, Trovatore, Otello, but also Masked Ball , Rigoletto, Forza del fate, Aida, Fanciulla del West, Gioconda and so on and so forth, ALL operas sung by Domingo in the theater!). There remains the problem of extreme treble, which this type of emission cannot guarantee 100% since there is not the same freedom of a wide, fan-shaped sound, which exploits not only the nose but also cheekbones, frontal breasts and the blessed "aspiration ”That can be felt in the most famous acute players, from Lauri Volpi to Filippeschi, arriving at Pavarotti & C. Domingo on the high notes has always risked, sometimes slipped, until other occasions he intelligently solved the worst obstacles. In the last phase of my career, the choice to sing baritone roles seems to me linked precisely to the insecurity in the upper register, which has naturally increased over the years.
I want to close this analysis by remembering that in Domingo there is not ONLY ONE STAMPED, RANDOM SOUND, ABANDONED TO HIMSELF. Domingo ALWAYS sings on the timbre and therefore never tires his instrument. Even today, and here is the miracle, the voice appears healthy, fresh, like that of an Alfredo or a Rodolfo with 40 years younger on his shoulders. Much more, I repeat, than colleagues with half of their career and a tenth of the roles played in the theater. Lastly, I also want to say that "imitating" Domingo, like Di Stefano, like Del Monaco, like Callas, like many others… .is very dangerous, because to do it you would have to BE Domingo, Di Stefano, Del Monaco, Callas… and they are all models unique and original, not reproducible.

 


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